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Miguel de Beistegui

Risposte al forum "Michel Foucault e le resistenze"

Tradotto dal francese da Laura Cremonesi


       Il concetto di resistenza svolge un ruolo centrale nell’analitica del potere sviluppata da Michel Foucault negli anni Settanta. Come è noto, ne La volontà di sapere Foucault sottolineava la correlazione inevitabile tra forme di esercizio del potere e resistenze:

Là dove c’è potere c’è resistenza e […] tuttavia, o piuttosto proprio per questo, essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere. Bisogna dire che si è necessariamente “dentro” il potere, che non gli si “sfugge”, che non c’è, rispetto ad esso, un’esteriorità assoluta, perché si sarebbe immancabilmente soggetti alla legge? O che, se la storia è l’astuzia della ragione, il potere sarebbe a sua volta l’astuzia della storia - ciò che vince sempre? Vorrebbe dire misconoscere il carattere strettamente relazionale dei rapporti di potere. Essi non possono esistere che in funzione di una molteplicità di punti di resistenza, i quali svolgono, nelle relazioni di potere, il ruolo di avversario, di bersaglio, di appoggio, di sporgenza per una presa. Questi punti di resistenza sono presenti dappertutto nella trama di potere. (La volontà di sapere, pp. 84-85)

Questa concezione del rapporto tra potere e resistenza possedeva senza dubbio una fortissima originalità e costituiva un ulteriore elemento di rottura del pensiero foucaultiano rispetto alle precedenti concezioni del potere.

       Potrebbe indicare quelli che, secondo lei, rimangono i caratteri più innovativi di questa idea di resistenza e spiegare se (ed eventualmente come) essa può rivestire ancora oggi un particolare interesse?

M. de Beistegui: Non c’è alcun dubbio, secondo me, che Foucault ci permetta di ripensare la nozione di potere, direi nella sua dimensione sociale e politica, ma anche in quella ontologica, e in un senso che si allontana dall’analisi marxista, dato che occorre distinguere i rapporti di potere da quelli di produzione (e quindi di sfruttamento), ed anche dall’analisi strutturalista, dato che occorre distinguere i rapporti di potere da quelli di significato o simbolici. È importante sottolinearlo sin dall’inizio, soprattutto dal momento in cui si tratta di sapere se e come gli si può resistere.

Anche voi sottolineate giustamente ciò che rende singolare questo pensiero del potere, che va ben distinto da un pensiero del dominio, dello sfruttamento o della servitù. Come definire questa singolarità? Proprio per il fatto che non ci sia un “fuori” del potere, luogo o punto di vista che sarebbe assolutamente esterno o eterogeneo, e a partire dal quale si potrebbe analizzare il potere e resistergli. Questo significa anche che il potere non si abbatte - dall’alto e dall’esterno - su una soggettività costituita indipendentemente da questi rapporti di potere e che avrebbe le proprie risorse, le proprie capacità di resistenza, di invenzione o di costruzione. È proprio questo soggetto trascendentale, nel suo potere auto-costituente o nel suo nucleo ontologico, che Foucault ci invita a superare. Detto altrimenti, non è corretto dire che non si fa altro che subire il potere, o che non gli si “sfugge”. Il potere non è questa forza esteriore ed agente che si applica su un soggetto passivo. Il potere, le relazioni di potere, dal momento in cui sono in opera, sono agite quanto sono subite. Questo significa che il potere si distribuisce, certo non in modo uguale o equo, ma nemmeno solo da un lato, gruppo o classe, ad esclusione di ogni altro, secondo una polarità binaria. Questo significa anche che non c’è IL potere, strumento di dominio, o di semplice governo, e di cui ci si potrebbe impossessare a certe condizioni. Il potere, nel senso di Foucault, non è qualcosa che si prende o si restituisce, oggetto di controllo, di scambio o di condivisione, di fronte al quale si rimarrebbe in un rapporto di esteriorità, anziché in un rapporto immanente. Non è un oggetto per un soggetto, per quanto variato questo oggetto possa essere. È un insieme di rapporti, che produce degli effetti, ivi compresi ed in primo luogo degli effetti-soggetti; è soggettivante o generatore di modi di soggettività.

Tutto questo rende più complicata la questione della resistenza, del senso di questo termine e della realtà che ricopre. Se resistenza può esserci - e credo che sia effettivamente possibile, anche se, paradossalmente, diventa sempre più difficile, per il fatto stesso del dispositivo che inquadra la vita di tutti noi oggi, almeno in Occidente, e che mira, come dice il primo ministro britannico (ma il New Labour faceva esattamente lo stesso discorso) a dare sempre più libertà alle persone - può venire solo da queste leve, queste “prese” o questi “punti di resistenza” che il potere libera nel momento stesso in cui si impone. La singolarità del potere, secondo Foucault (tenderei a dire la sua singolarità ontologica) è nel fatto che - sempre associato o addossato a un sapere e a un insieme di pratiche discorsive, di enunciati di verità, etc. - il potere potere: orienta, dà forma, conduce, disciplina, in breve, assoggetta e, allo stesso tempo, ma il modo molto più difficile da cogliere, ci fornisce gli strumenti e le prese di cui abbiamo bisogno per rivolgerlo contro se stesso, per esercitare su di esso una certa pressione, per sfruttare le sue incrinature. Questa situazione rende la questione della resistenza infinitamente più frustante - si può resistere solo con i mezzi che ci “dà” il potere e questi mezzi esigono, tra l’altro, per manifestarsi, tutto un lavoro analitico - e, al tempo stesso, immediatamente concreta e realizzabile. La resistenza può aver luogo - ha luogo - ovunque e in ogni momento, come le relazioni di potere cui si applica: negli uffici e nelle fabbriche, negli ospedali, nelle prigioni, nelle università e scuole, nelle case editrici e negli studi cinematografici, nei corpi e nelle pratiche erotiche, igieniche, ginnastiche, etc. Credo che la sua logica non sia tanto quella del rovesciamento e della presa (di potere) quanto quella, sempre locale e puntuale, del rifiuto di quello che si è o che si è diventati, del mordi e fuggi, del granello di sabbia, del bastone tra le ruote - resistenza del tipo della guerriglia più che della rivoluzione. Da questo punto di vista, la logica e politica dei partiti non sarebbe in grado di costituire un punto di ancoraggio per la resistenza.

 > Leggi la risposta di Sandro Mezzadra

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