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Matteo Vagelli

Giochi linguistici e di potere tra Wittgenstein e Foucault


Recensione di Frédéric Gros & Arnold I. Davidson (dir.), Foucault, Wittgenstein : de possibles rencontres, Éditions Kimé, Paris 2011 (214 p.)


Il volume Foucault, Wittgenstein : de possibles rencontres raccoglie gli interventi di una giornata di studi svoltasi nel giugno del 2007 presso l’École Normale Supérieure di Parigi, sotto la direzione di Arnold I. Davidson e Frédéric Gros. La giornata, e quindi il volume, sono animati dal desiderio di accostare per i loro stili di pensiero e le loro pratiche d’esistenza due “icone filosofiche” del XX secolo, Ludwig Wittgenstein e Michel Foucault. Se l’accostamento tra i due risulta pressoché inedito, sono comunque da segnalare alcuni precedenti. Quantomeno per il loro valore di documento, sono interessanti i testi esplicitamente dedicati al raffronto tra Wittgenstein e Foucault da Harry Aron, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80[1]. Anche Rorty ha avvicinato i due in un testo in cui giudica sommariamente comparabili le critiche wittgensteiniane e foucaultiane alle nozioni di “verità” e “scienza”[2]. Ma Ian Hacking e Arnold I. Davidson sono sicuramente le istanze più originali – nonché maggiormente ispiratrici rispetto ai lavori contenuti in Foucault, Wittgenstein – tra tali tentativi di accostamento. Hacking si è in molteplici occasioni professato influenzato tanto dalla filosofia del linguaggio dell’uno quanto dall’epistemologia carica di connotati etici e politici dell’altro, e nei suoi lavori ha costantemente cercato un equilibrio e un’integrazione originale tra queste due matrici filosofiche[3]. Davidson, dal canto suo, in The Emergence of Sexuality, ha operato una combinazione di analisi dei concetti e descrizione storica attraverso l’applicazione di metodologie analitiche wittgensteiniane all’epistemologia foucaultiana[4]. A questa lista sommaria occorre aggiungere infine un riferimento ad Aldo Giorgio Gargani, esperto di Wittgenstein, che negli ultimi anni della sua vita, influenzato dalla lettura di Foucault, scriveva:

Un filosofo continentale estraneo alla tradizione analitica della filosofia anglosassone è Michel Foucault, che però, come Wittgenstein, respinge la tradizionale filosofia del soggetto […] e delinea un analogo intreccio di relazioni e contesti storici, di istituzioni socio-politiche, giuridiche, religiose e culturali e di relazioni che gli individui intrattengono con se stessi e con il potere che esercita la sua azione, avendo come effetto quello di strutturare la pratica del discorso del “vero” e del “falso”. Questo intreccio strutturale consegnato alla storicità delle epoche della cultura umana determina e crea le regole, dunque i vincoli, in conformità ai quali viene praticato il gioco del vero e del falso[5].

Nonostante questi brevi accenni, la letteratura secondaria sul raffronto Wittgenstein-Foucault è comunque da considerarsi agli albori e la miscellanea Foucault, Wittgenstein si propone appunto di rappresentare uno stimolo verso l’apertura di questo nuovo fronte d’indagine. Senza tentare di rendere interamente l’ampiezza e le sfumature dei temi articolati, così come il loro carattere spesso dispersivo, cercheremo di riproporre qui solo alcuni degli assi più riconoscibili che caratterizzano gli studi contenuti nel volume.


I contributi sono suddivisi in due sezioni intitolate “Jeux de langage et Jeux de vérité” e “Jeux de langage et Jeux de pouvoir”. Questa ripartizione si propone di suggerire due linee guida piuttosto discernibili nelle letture del rapporto tra le due figure: da una parte, quelle che confrontano prevalentemente i temi del linguaggio e dei giochi linguistici in Wittgenstein con il discorso e le pratiche discorsive di Foucault; dall’altra, quelle che allargano maggiormente la prospettiva anche ai “giochi di potere”, cercando una trasposizione incisiva dal piano teorico a quello pratico e politico. In realtà, la scelta non pare del tutto giustificata rispetto alla natura dei testi contenuti, che condividono e si sovrappongono per gran parte degli argomenti e dei riferimenti impiegati, dispiegandosi e smarcandosi l’uno dall’altro piuttosto per differenze radiali. Per valutare il ventaglio di “posture comuni” assunte dai due filosofi, gli autori del volume spaziano da ipotesi di “identificazione, filiazione e opposizione”, a più generiche sintonie, “somiglianze di famiglia” o correspondances (pp. 12, 42). Schematizziamo gli approcci rappresentati nel volume secondo tre temi principali: il tema metodologico tende ad accontentarsi di mostrare che nei due casi è all’opera una sorta di metodo descrittivo similare, che Foucault trae dalla filosofia analitica in generale, più che da Wittgenstein, per esportarlo verso un altro campo di indagine; il tema dell’a priori mette in luce le somiglianze nelle analisi del linguaggio, del discorso e della conoscenza, rilevando per entrambi i filosofi una concezione affine delle condizioni di possibilità di un sapere; quello etico, infine, attribuisce tanto all’uno quanto all’altro una idea di filosofia come pratica, che rilegge in chiave etica sia la soggettività sia la verità stessa. I contributi del volume presentano una mescolanza non uniforme di questi temi, dei quali evidenzieremo qui solo alcuni aspetti.


1. Il tema metodologico

L’accostamento metodologico è quello che risulta più praticato e approfondito da tutti gli interventi. Secondo tale punto di vista, le riflessioni wittgensteiniane sul linguaggio avrebbero fornito un modello o paradigma filosofico ripreso poi da Foucault e da lui trasposto alla storia. La diversità degli oggetti e dei rispettivi campi d’indagine dei due filosofi renderebbe quindi vano qualsiasi confronto “positivo” in termini di teorie o dottrine, ma lascerebbe intatto il valore formale o analogico di un rapprochement. Entrambi avversano una filosofia che s’impone come teoria o dottrina, privilegiandone al contrario il compito descrittivo e critico. Come Wittgenstein rifiuta il ricorso a modelli deduttivi o ipotetico-causali di spiegazione e si limita a descrivere i fatti linguistici, altrettanto fa Foucault con quelli storici e politici. Il linguaggio dell’uno è così l’analogo della storia nell’altro: come dietro alle parole del primo non c’è niente di nascosto, né un’essenza preesistente né uno stato o un processo mentale che costituirebbero il suo significato, così dietro i fatti storici non si dà alcuna teleologia o ordine precostituito.

Eustache sembra arrestarsi di fronte allo scarto tra metodo archeologico e metodo genealogico in Foucault. Secondo lui, se è vero che Foucault si è servito della medesima “cassetta degli attrezzi” di Wittgenstein[6], la specificità dei rispettivi oggetti di studio ha poi prodotto una divergenza irriconciliabile tra i due filosofi, i quali, oltre un certo punto, non risultano più confrontabili se non a detrimento delle loro peculiarità. Tra i due sussisterebbe una differenza di livelli di analisi: mentre il gioco linguistico di Wittgenstein si situa sul piano delle convenzioni linguistiche tra parlanti, lo jeu dispositionnel di Foucault (quello originato all’interno di un dispositivo di sapere-potere) è propriamente la sorgente delle suddette convenzioni. Secondo Eustache, l’anti-fondazionalismo di Wittgenstein è volto precisamente a negare ogni legittimità a una tale analisi genetica delle condizioni di possibilità di un determinato assetto di convenzioni. La divergenza irriducibile tra i due si originerebbe proprio dal fatto che, se Wittgenstein contesta ogni fondazione non convenzionale delle nostre pratiche linguistiche, Foucault va a ricercare ed individuare queste ultime nella storia. Il primo si limiterebbe cioè a una descrizione funzionale del linguaggio, mentre il secondo opererebbe un’analisi genealogico-nietzschiana (pp. 14, 33). Foucault e Wittgenstein condividerebbero quindi solo metodi e obiettivi negativi (quali il rifiuto del dogmatismo, del determinismo e del paradigma causale), divergendo quanto al resto.



[1] Cfr. H. Aron, “Wittgenstein’s impact on Foucault”, presentato al secondo International Wittgenstein Symposium, Kirchberg am Wechsel (Austria) e ristampato sia in E.W. Leinfellner, H. Deinfellner, H. Berghel (eds.), Wittgenstein and his Impact on Contemporary Thought, Kluwer, 1977, pp. 58-60, sia in B. Smart (ed.), Michel Foucault. Critical Assessments, vol. I, Routledge, London 1995, pp. 151-152; e “Wittgenstein’s silence/Foucault’s anarchy”, presentato al settimo International Wittgenstein Symposium, 1982.

[2] Cfr. R. Rorty, “Beyond Nietzsche and Marx”, in B. Smart, op. cit., pp. 151-152.

[3] Si veda soprattutto I. Hacking, Historical Ontology, Harvard University Press, Cambridge 2002; trad. it. Ontologia storica, ETS, Pisa 2010.

[4] Cfr. A.I. Davidson, The Emergence of Sexuality. Historical Epistemology and the Formation of Concepts, Harvard University Press, Cambridge 2001; trad. it. L’emergenza della sessualità, Quodlibet, Macerata 2010.

[5] A.G. Gargani, “Vincoli e possibilità nei codici di sapere”, Teoria, XXV (Nuova serie XV/2), 2005, p. 163. I riscontri dell’interesse congiunto di Gargani per Wittgenstein e Foucault non si limitano certamente a questo passaggio. Davidson nota del resto come l’impostazione filosofica dispiegata ne Il sapere senza fondamenti, uno dei testi più rilevanti di Gargani, ci consenta «di tracciare una linea di contatto tra la filosofia wittgensteiniana e una corrente notevole della filosofia francese contemporanea» (si veda l’Introduzione alla riedizione del testo di Gargani per Mimesis, Milano 2009, p. 7).

[6] Il riferimento è alle Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1999, § 11.

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