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Ora, a nostro parere, una maggiore attenzione per questa caratterizzazione dell’oggi come margine in cui l’impossibile infiltra le evidenze, mostrandone l’originario carattere evenemenziale, non è in contraddizione con una lettura rigorosa dei rapporti tra questione dell’attualità e archeologia come quella proposta dall’autrice, a maggior ragione se, attraverso il confronto con i testi degli anni Sessanta, si cerca di comprendere le discontinuità e le riprese che hanno caratterizzato le diverse fasi del percorso critico foucaultiano. In questo senso, una considerazione dei rilievi sull’arte negli interventi foucaultiani degli anni successivi all’Archeologia del sapere (aspetto presente, ad esempio, nel libro di Joseph J. Tanke, Foucault’s Philosophy of Art, Continuum, London–New York 2009), così come un’interrogazione sul loro rapporto con i testi maggiori o con i corsi al Collège de France e sulla perdita di ruolo della letteratura nel complesso del discorso di Foucault, sarebbero state importanti occasioni per indagare la multidimensionalità temporale che si concentra nell’“oggi” della diagnostica foucaultiana. È quello che abbiamo tentato di fare nel corso della nostra tesi di dottorato (L’origine di un’assenza. Tempo storico, letteratura e dimensione estetica nel pensiero di Michel Foucault, Università di Pisa, Dottorato in memoria culturale e tradizione europea, 2003) e in successivi interventi, arrivando a tesi convergenti con quelle sviluppate dall’autrice, ma declinate secondo un diverso orizzonte teorico. Orizzonte caratterizzato dal tentativo di indagare come la questione dell’attualità si carichi di differenti tensioni e indici temporali, a seconda delle fasi della produzione foucaultiana e, in particolare, si faccia vettore di tremblement del suolo su cui siamo installati, anche attraverso la ridefinizione di funzioni teoriche attribuite, nei testi dei primi anni Sessanta, a nozioni poi abbandonate, in particolare a quelle di “a priori storico”, di “fondamentale”, di puro “esserci dell’ordine («Il y a de l’ordre»; cfr. M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 10). È da questo punto di vista che crediamo sia possibile, ad esempio, cogliere degli spostamenti del punto di vista foucaultiano rispetto ad alcuni scacchi del progetto archeologico, non solo nei testi che annunciano il tema della genealogia o dei rapporti di potere, ma già nelle diverse declinazioni assunte dal “presente”, da Storia della follia fino all’Archeologia del sapere, testo liminare di cui occorrerebbe rimarcare la specificità rispetto all’orizzonte archeologico precedente (su questo punto bisogna segnalare come l’autrice proponga un’efficace analisi del rapporto tra archeologia e “scrittura” proprio a partire da una lettura del manoscritto ancora inedito dell’Archeologia). Allo stesso modo, come si è già accennato, crediamo che una prospettiva di questo tipo permetta di gettare nuova luce sulle forme di temporalità storica e di storia filosofica messe in gioco dagli scritti genealogici e dagli ulteriori sviluppi sulle forme di soggettivazione e sul rapporto tra “verità” e “vita”. Tra l’altro, anche una volta perso il ruolo di indicatori della linea di movimento epocale o di icone di determinati assetti di visibilità, riferimenti all’arte e alla letteratura (o indizi sulle ragioni, teoriche e politiche, di un loro ridimensionamento) continuano a punteggiare la riflessione foucaultiana, connettendosi proprio con l’altro lato della specificità dell’attuale rispetto al presente, ciò per cui esso è non solo il “nuovo”, ma la faglia di un «pensare altrimenti» (G. Deleuze, Foucault, 1986, Feltrinelli, Milano 1987).

Ora, ci sembra che, al di là delle singole scelte dell’autrice sui limiti cronologici fissati nell’analisi delle opere foucaultiane, un motivo di oscuramento di questo aspetto della nozione di “attuale” in Foucault nasca da ragioni non solo legittime, ma in buona misura apprezzabili. Il libro sceglie, infatti, la via di un confronto serrato con il ruolo giocato dall’attualità nella struttura delle ricostruzioni archeologiche, piuttosto che affidare questa nozione ad un generico richiamo alle possibilità di trasgressione dell’ordine dei saperi e dei poteri dati o ad una mera sovrapposizione tra la déprise e le “resistenze” foucaultiane e le “linee di fuga” di Deleuze. Tuttavia, crediamo che un’attenzione per la tensione trasformativa presente nelle modalità con le quali Foucault affronta la questione dell’oggi debba entrare a far parte di una mappatura delle pieghe interne all’impianto teorico foucaultiano, a partire dagli arresti e dagli sviluppi subiti dall’archeologia fino alle successive strategie di problematizzazione delle evidenze messe in campo dal filosofo francese. Mettendo in costellazione nozioni quali “originario”, “fondamentale” e “attuale”, ad esempio, si potrebbe cercare di mostrare quali spostamenti e travasi teorici si possono individuare tra l’idea di “evento radicale” della modernità in Le parole e le cose e la critica al nesso tra “storia” e “rivoluzione” negli anni Settanta, fino alla complessa trama temporale tracciata dai processi di soggettivazione, dalle tematiche della “cura di sé” o della “spiritualità politica”. Ovviamente si tratta solo di uno dei percorsi possibili, mosso, però, da un’esigenza che riteniamo teoricamente fondamentale per decidere del modo con il quale, a partire dal nostro presente, possiamo guardare a Foucault. Tra le altre poste in gioco in un attraversamento di questo tipo dell’opera foucaultiana, infatti, c’è quella di restituire al contempo ulteriore spessore filosofico alla «storia del presente» per come emerge dai testi più politici degli anni Settanta e, d’altro lato, politicità alle costruzioni epistemiche degli anni Sessanta. Il che non significa, ovviamente, negare gli spostamenti e le cesure nell’opera foucaultiana. Significa solo non collocarli necessariamente là dove l’autore li ha esplicitamente rivendicati. E questo, in fondo, è il meno che un lettore di Foucault possa fare.

 


/  Leggi la risposta dell'autrice Miriam Iacomini a questa recensione


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