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Se è storicamente vero, come abbiamo detto, che dall’incontro fra confinamento della cittadinanza, confinamento del territorio e confinamento della mobilità si produce sempre anche un confinamento fisico, è necessario allora interrogarci anche, a proposito della realtà dell’Unione Europea, sull’aspetto assunto oggi, al suo interno, dal confinamento fisico, mettendolo in relazione con le precise strategie di governo adottate di volta in volta e condizionate in modo significativo dalle strategie di resistenza messe in atto dai migranti stessi.

In vista di questo, infatti, Sciurba analizza brevemente le principali esperienze di confinamento amministrativo di esseri umani a partire dal secolo XVII, con maggior attenzione per il XIX secolo, per arrivare ai confinamenti al presente nelle diverse realtà dell’Unione Europea[1], facendo risaltare sì le analogie con il passato, ma, soprattutto, la specificità storica del confinamento contemporaneo attraverso l’analisi dei luoghi di detenzione e delle zone di concentramento dei migranti, oggi.

Tali luoghi risultano oggi strumenti fondamentali nella gestione della mobilità migrante, la manifestazione più evidente e tangibile del confinamento della mobilità, ma anche strumenti di governo della popolazione attraverso la sua separazione controllata; separazione che produce una gerarchizzazione dell’appartenenza, al cui interno tali luoghi divengono strumenti fondamentali per marcare le differenze. Le attuali zone di concentramento e i centri di detenzione amministrativa acquistano, quindi, il loro senso e le loro caratteristiche specifiche di fronte a un sistema di governo che mira all’inclusione differenziale e finalizzata dei migranti, al governo della loro mobilità così come al governo della popolazione in generale attraverso la sua separazione e gerarchizzazione.

È a partire da tale ottica che Sciurba conduce l’analisi di questi luoghi, contestualizzandoli, quindi, più che nella storia della forma-campo, nell’attuale panorama economico e politico globale, che dà a questo istituto una fisionomia specifica e determinata.

Rispetto all’analisi dei centri di detenzione amministrativa, Sciurba si concentra sulle loro specifiche caratteristiche, facendo risaltare l’aspetto dinamico che investe i campi del presente e, soprattutto, conduce un’analisi dettagliata delle loro funzioni, sia quelle dichiarate (trattenimento al fine dell’identificazione ed espulsione) che quelle latenti ed effettivamente espletate. È a questo livello che Sciurba fa proprio il metodo foucaultiano rispetto all’analisi dei dispositivi di potere. L’autrice sceglie come principio guida per la sua analisi sui centri di detenzione e sulle zone di concentramento dell’Unione Europea l’analisi foucaultiana dei dispositivi di potere in quanto analisi di un regime di pratiche che procede, anziché con un movimento deduttivo, secondo un movimento ascendente, a partire cioè, in questo caso, dall’analisi delle pratiche nelle quali si concretizza la gestione delle migrazioni in Europa, facendone emergere le contraddizioni e le discrepanze rispetto agli intenti formalmente dichiarati. Con l’applicazione di questo metodo all’analisi dei centri di detenzione amministrativa Sciurba, distogliendo l’attenzione dai discorsi ufficiali, può sviluppare appunto «l’analisi di un regime di pratiche» considerate, foucaultianamente, come «il luogo di concatenamento fra ciò che si dice e ciò che si fa, fra le regole che ci si impone e le ragioni che ci si dà, fra i progetti e le evidenze»[2]. Attraverso questa analisi dei regimi di pratiche noi analizziamo, ancora secondo Foucault, «delle programmazioni di condotta» di cui scopriamo sia gli effetti di codificazione rispetto a ciò che si deve sapere (effetti di veridicità), in questo caso riguardo alla realtà delle migrazioni, sia gli effetti di prescrizione rispetto a ciò che si deve fare (effetti di giurisdizione). Nello specifico, quindi, da questa stessa analisi dovrà emergere, in controluce da ciò che si dice dell’immigrazione, ciò che invece si fa (funzioni latenti).

Perciò Sciurba conduce, seguendo tale metodo, un’analisi attenta delle funzioni reali dei centri di detenzione amministrativa (funzioni simboliche-ideologiche-spettacolari, politiche, poliziesche, economiche e geopolitiche), arrivando a coglierne la specificità nella loro funzione soprattutto di filtri, di «camere di compensazione per l’inclusione selettiva di determinati gruppi di migranti»[3], e di dispositivi di messa a valore dei movimenti migratori, come produttori continui di clandestinità e strumenti di clandestinizzazione del lavoro migrante al servizio di un sistema economico capitalistico. Dispositivi perfettamente rispondenti ad una strategia di governo i cui obiettivi reali sono «non l’esclusione definitiva ma l’inclusione regolata, non l’arresto completo della mobilità ma la sua gestione, non l’effettiva messa a distanza della potenzialità dei migranti ma la sua messa a valore attraverso canali che li privino di tutele giuridiche, sindacali, ecc» (p. 207). Essi assumono inoltre la funzione politica di direzione del disagio e rilocalizzazione delle tensioni sociali, diventando, allo stesso tempo, strumento di normalizzazione della pratica dell’internamento in quanto strategia di controllo della popolazione tutta e prevenzione del pericolo. Questi sono alcuni dei risultati cui perviene Sciurba nell’analisi condotta con metodo foucaultiano delle funzioni reali, ma latenti all’interno della retorica pubblica, dei centri di detenzione temporanea: risulta chiara la distanza dai campi del passato, soprattutto da quelli del totalitarismo novecentesco con le loro caratteristiche di superfluità, eccezionalità, immobilità senza via di fuga e il ruolo di primo piano giocato invece da questi luoghi all’interno dei processi di gestione della vita e del suo movimento libero.



[1] Il quarto capitolo del libro, “Studi empirici”, è appunto dedicato all’analisi di esempi concreti di come le modalità di confinamento amministrativo e di concentramento dei migranti si esplicitano in alcuni paesi dell’Unione Europea (Italia, Grecia, Francia, Malta, Slovenia).

[2] M. Foucault, Poteri e strategie, l’assoggettamento dei corpi e l’elemento sfuggente, a cura di Pier Dalla Vigna, Mimesis, Milano 1994, p. 94.

[3] R. Andreijasevic, Tra Lampedusa e Libia. Storie di internamenti e deportazioni, in Conflitti globali, 4 (2007), p. 150.

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