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Veronica Chisu

Il travaglio impaziente della differenza


Review of Judith Revel, Foucault, une pensée du discontinu, Éditions Mille et une nuits, Paris 2010 (330 p.)


Il testo Foucault, une pensée du discontinu, pubblicato parzialmente nel 2005 e riedito nel 2010, è un testo di critica dalla problematizzazione accurata e continua. Attraverso uno slittamento delle prospettive adottate, in un movimento di déplacement tra piani analitici e nuclei concettuali, l’autrice Judith Revel spazia nell’intera produzione foucaultiana non seguendo un unico fil rouge, ma ricostruendo un percorso che emerge da una trama complessa. La studiosa, nota al pubblico italiano in qualità di curatrice del primo volume dell’Archivio Foucault[1], nonché autrice di numerosi testi di critica[2], in questo libro (pubblicato per ora solo in Francia) sceglie un’ottica precisa per affrontare l’impianto formale e contenutistico dell’opera del filosofo francese: occorre ripercorrere tale percorso à la manière de Foucault lui-même. Intende così problematizzare la produzione foucaultiana (e quindi quella critica sul filosofo) intervenendo a tre livelli: storico, ridefinendo i termini della tripartizione dettata dal criterio temporale (anni ‘60-’70-’80) associato al criterio tematico (campo letterario, politico ed etico); epistemologico, riconsiderando la cesura tra indagine archeologica e metodo genealogico; teorico, riarticolando il paesaggio concettuale in riferimento alle problematiche di controllo, biopoteri, biopolitica[3].

Michel Foucault, rifiutando i modelli di trasformazione di un divenire inteso nella forma d’una generale Weltanschauung come pure d’una coscienza universale, persegue la «vivacità della differenza» (p. 34)[4]. Il tema del cambiamento si trasfigura così a vantaggio d’una discontinuità che si presenta nella forma di rapporti causali complessi, analizzabili tramite décalages e differenziazioni costanti: discontinuità e differenza sono quindi i poli dell’indagine. Ma se la differenza si può filosoficamente definire come ciò che si distingue dall’identico, lo scarto di un’uguaglianza, e la discontinuità viene definita nei termini di “scelta di metodo”, allora in che modo articolare tra loro queste due definizioni centrali nella riflessione filosofica del secondo dopoguerra e, soprattutto, come ancorarle all’incedere foucaultiano? Per rispondere a tali domande occorre esplicitare il percorso che la stessa filosofa traccia, ossia il metadiscorso[5] condotto nel testo critico stesso.


I. Jouer la recherche foucaldienne à sa propre lumière. Ovvero come può un gioco di specchi non essere la copia della copia

Nel panorama critico dedicato al filosofo francese, Foucault, une pensée du discontinu si distingue per la parsimonia citazionistica e il tenore filosofico. È chiaro che il proposito non è di ridar lustro all’argenteria “Foucault”, quanto di rimetterne in funzione la macchina da guerra, la forza propulsiva della sua analisi.

Se, secondo il consueto gioco di specchi filosofici, le attività di esame e produzione di discorso passano attraverso l’analisi delle modalità di costruzione del discorso stesso (si pensi all’architettonica di matrice kantiana), in questo frangente l’analisi del metadiscorso palesa una possibile dimensione altra del lavoro di critica. Operando una sorta di sovrapposizione, l’autrice configura una struttura analitica nella quale, al consueto parallelismo critico/autore, si affianca il binomio ulteriore di autore/autore-critico di se stesso. Svincolandosi dalle funzioni di autore e corpus operae, che limiterebbero lo stesso Foucault a una figura statica passibile di una critica monumentale[6], la studiosa mostra come vi sia la possibilità che il procedere del compito critico si articoli e si concateni nei termini nei quali l’autore stesso ha affrontato le proprie problematizzazioni. E chi infatti se non Foucault è stato il primo critico di se stesso, o potremmo dire, l’ombra continuamente sfuggente di se stesso?

Sulla scia di tale insolita consonanza di metodo tra il percorso proposto dall’autore-critico di se stesso e l’autrice del volume critico, Foucault, une pensée du discontinu risulta non solamente il risultato d’un arduo lavoro volto a ricostruire il tortuoso percorso foucaultiano mimandone l’incedere, ma rappresenta esso stesso la possibilità di una tipologia di analisi critica differente. In questo senso, lo scopo del lavoro dell’autrice è far giocare alcuni elementi foucaultiani di modo che possano dar luogo a configurazioni inattese, cosicché la stessa disposizione delle varie boites à outils possa fornire la possibilità di un pensiero altro, rendendo così conto della «straniante singolarità (étrange singularité del filosofo (p. 16), ossia del suo tenace tentativo di differenziarsi dai predecessori, dagli altri, da sé attraverso un’attività di continua déprise.

Se i detrattori di Foucault lo ritengono passibile dell’accusa d’incoerenza e dispersività, il lavoro della filosofa intende restituirlo alla sua coerenza non lineare, ad una logica che, nel rifiutare la linearità dello stesso e l’unità del medesimo, risulta tuttavia dotata di una direzione che è esattamente quella della discontinuità, «intesa come cambiamento continuo, come continuità in movimento» (p. 42). All’interno di tale pensiero in movimento, le linee guida si disporranno, quindi, intorno al suo «baricentro problematico e principale scoglio (pierre d’achoppement)» (p. 16): l’impossibilità di ridurre il pensiero del filosofo francese a un unico punto di fuga. Il preciso intento dell’autrice è, infatti, di restituire l’andamento del pensiero del filosofo, nella sua forma caleidoscopica, alla sua legittima discontinuità. Per cui, se «tutte le rotture apparenti del percorso foucaultiano, quale che sia la forma che possano prendere, corrispondono in realtà ad una torsione interna della problematizzazione» (p. 305), la sua non è «una discontinuità concepita come un abbandono, come un salto, o come un andirivieni, ma al contrario una differenziazione per ribaltamento (retournement) e spostamento (déplacement)» (ibid.). Per concepire tale incedere occorre un lavoro di rottura nei confronti del discorso filosofico classico, a favore di un’analisi capace di render conto di salti e differenze e che, parallelamente, conferisca degli strumenti in grado di render conto di ciò che risulta essere il movimento del reale stesso. «L’estrema coerenza del percorso foucaultiano impone che si abbandoni una modalità di leggibilità fondata su una continuità semplicistica e si tenti, piuttosto che un approccio lineare e più o meno “incompreso” della progressione di Foucault, di ritrovare il movimento di un interrogare complesso (questionnement complexe): un dinamismo totalmente intrecciato sia alle difficoltà riscontrate che a quelle acquisite, di cui il motore parrebbe essere la volontà incessantemente sollecitata di oltrepassare i punti di blocco riscontrati» (p. 222). Osserviamo così nel testo critico dei crocevia concettuali situati nel punto medio di ogni capitolo e che consentono una ri-sistematizzazione (o ri-disseminazione) della tematica sceverata e, in quanto tale, momentaneamente neutralizzata nelle sue asperità.

Se l’accusa mossa all’opera foucaultiana è d’una certa incoerenza tra la produzione libraria e la congerie di scritti periferici (articoli, interviste, conferenze raccolti nei Dits et écrits), l’autrice mette in luce come a tale contrapposizione sia sotteso un progetto strategico nel quale è la forma che plasma la materia: «è il discontinuo la garanzia della mobilità del pensiero» (p. 106). La funzione svolta dalla contrapposizione dei vari regimi del discorso risulta così il nucleo del gioco delle problematizzazioni, che rimane vivido senza arenarsi in una – presunta – soluzione conclusiva. Per cui, grazie all’asintotica interrelazione tra scripta e verba possiamo osservare «un gioco di rilancio permanente dei concetti e dei temi della ricerca» (p. 108); come se il corpus delle opere fosse il fortino, la struttura base alla quale attentano i vari testi periferici attraverso una sorta di tattica macedone. Se le matrici dell’organizzazione del savoir a partire dall’âge classique si determinano secondo i canoni di continuità e coerenza, la finalità perseguita dall’autrice è di emanciparsi da tali dettami. Secondo tale ottica, le opere del ‘61 e del ‘66 si dispongono in una configurazione sistemica chiusa: se l’Histoire de la Folie è fondata sul rapporto reciproco di raison/déraison implicate in una dialettica priva di un dehors, la nozione di épistème (analizzata ne Les Mots et les Choses), annulla le condizioni di possibilità di una possibile trasgressione. In una “guerriglia” di incongruenze tra testi periferici e strutture portanti, i concetti di ascendenza blanchottiana e bataillana (centrali nell’analisi letteraria degli anni ‘60), si fanno così portatori di un’esteriorità che trova spazio nell’ampio disegno speculativo in incessante costruzione e decostruzione, in ciò che l’autrice ama definire la «complessità articolata» dell’andamento del pensiero del filosofo.

L’intervento critico sembra dunque consistere nel «cercare di capire come lo spessore del lavoro di Foucault abbia potuto celare in sé discontinuità di tipi differenti, sotto forma di regimi di discorsi apparentemente contraddittori (ma lo sono realmente?) e pertanto simultanei, che si applicano a teorizzazioni e strumenti concettuali a loro volta contraddittori e simultanei» (pp. 107-108). Ciò comporta, dato che «il nostro partito preso [è] di applicare ai testi foucaultiani un’analisi foucaultiana», che l’impasse di un antagonismo contraddittorio tra testi e scritti periferici si possa sciogliere con lo stesso metodo rivendicato dall’autore (e da Gilles Deleuze) rispetto alla controversa ed eterogenea produzione nietzscheana: occorre «ricostruire il terreno di gioco» (p. 110)[7]. In questo senso, l’analisi della studiosa non si limita a render conto dell’ampio edificio concettuale del pensatore francese ma, tramite una cernita ogni volta puntuale e situata delle sfaccettature concettuali (nei termini di collocazione precisa all’interno di un discorso, d’un determinato problema, nonché d’un preciso orientamento strategico), getta una luce insolita sulla produzione critica dedicata al filosofo francese.



[1] Cfr. Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. Volume I. 1961-1970, a cura di Judith Revel, Feltrinelli, Milano 1996.

[2] Si ricordino, in particolare, i saggi critici pubblicati in Italia: Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996; Michel Foucault. Un’ontologia dell’attualità, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003; Fare moltitudine, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.

[3] Per motivi di spazio, quest’ultima tematica, ricca e complessa, non verrà affrontata nella presente recensione.

[4] Preciso che tutte le traduzioni sono della sottoscritta; in alcuni casi ho ritenuto di dover indicare i termini originali tra parentesi (mi scuso previamente per eventuali imprecisioni).

[5] L’espressione “metadiscorso” non allude a un senso soggiacente al discorso foucaultiano e men che meno a una dimensione altra cui il filosofo intendeva rimandare; è piuttosto una forma critica che intende mettere in correlazione i piani del discorso portato avanti dal filosofo stesso, osservandone le ulteriori possibili intersezioni. Utilizzando tale termine intendo mettere in evidenza l’interazione tra piano formale e piano sostanziale, non solo tra una discontinuità propria dell’accadere storico e una differenza concepibile in termini filosofici, quanto proprio come si inneschi una correlazione produttiva tra pensiero del discontinuo e della differenza, da una parte, e forma discontinua della struttura del discorso filosofico e contenuto differenziale del reale dall’altra. Il testo della Revel, come intendo mostrare, è una continua interrogazione su come questi due livelli possano sussistere e rilanciarsi l’un l’altro.

[6] L’allusione è, chiaramente, alla concezione di “storia monumentale” che si trova in Sull’utilità e il danno della storia per la vita, di Friedrich Nietzsche.

[7] Si ricordi che Foucault e Deleuze curarono l’edizione francese del 1965 delle opere complete di Nietzsche, secondo l’edizione stabilita da Colli e Montinari.

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