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Forum "Giornalismo filosofico"

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Risposte di:  Sandro ChignolaWu Ming

Contributi di:  Alain Brossat,  Paolo Vernaglione


1. Per Foucault, che considerava il proprio lavoro più affine a quello del giornalista che a quello del filosofo, giornalismo e filosofia sembrano intrecciarsi e modellarsi a vicenda, prendendo forma, in ultima analisi, attorno alla problematica dell’oggi e del rapporto tra evento e attualità: a partire dalla fine del XVIII secolo, scrive Foucault, « non vi sono molte filosofie che non ruotino attorno alla domanda: Chi siamo noi al momento attuale? (...) Ma penso che tale domanda sia anche a fondamento del mestiere di giornalista »[1]. Che definizione darebbe lei e, soprattutto, che significato acquista per noi oggi, il giornalismo filosofico”? La scelta di coinvolgere sia filosofi che giornalisti in questo forum deriva dall’idea che si possa parlare di “giornalismo filosofico” da entrambe le prospettive; l’obiettivo è proprio quello di capire in cosa consista la differente angolatura tra le due e dove risieda la loro specificità. In altri termini: cosa significa praticare giornalismo filosofico dal punto di vista di un giornalista e da quello di un filosofo?

2a. Quale ruolo gioca la pratica del dire la verità all’interno del giornalismo filosofico e di che tipo di verità eventualmente si tratta?

2b. Il giornalismo filosofico consiste in una sorta di “battaglia a colpi di verità” contro il potere o produce piuttosto uno slittamento della posizione, della funzione e anche del significato di “verità” (spostando il problema sul piano della visibilità, ovvero, in termini foucaultiani, rendendo visibile ciò che non lo è)?

2c. Quanto è rilevante, al fine di produrre un certo effetto politico, il fatto in sé di dire la verità?

3. Qual è il rapporto tra giornalismo filosofico da un lato e critica dall’altro, e in che modo la critica può aprire concretamente nuovi spazi di resistenza? In Che cos’è l’Illuminismo? Foucault utilizza l’espressione “ontologia critica di noi stessi“ per indicare un atteggiamento in cui « la critica di quello che siamo è, al tempo stesso, analisi storica dei nostri limiti e prova del loro superamento possibile »[2]. Pensa che la pratica del giornalismo filosofico si inserisca in un processo di trasformazione e cambiamento rispetto al contesto, sempre specifico e politicamente determinato, in cui agisce?

4. Ritiene che si possa parlare di militanza nel caso della pratica del giornalismo filosofico? Più precisamente, ci chiediamo se il giornalismo filosofico sia, in maniera costitutiva, anche una modalità di “engagement” politico o di resistenza. In secondo luogo, pensiamo che la posta in gioco principale consista nella capacità di superare definitivamente l’opposizione tra lavoro teorico ed engagement individuale, introducendo nuove possibilità per colui che pratica il giornalismo filosofico di essere coinvolto in prima persona rispetto al proprio presente. Compito, quest’ultimo, che ritroviamo esplicitamente nel pensiero di Foucault: « Ho tentato di fare delle cose che implichino un engagement personale, fisico e reale, e che pongano i problemi in termini concreti, precisi, definiti all’interno di una situazione data »[3]. All’interno di questa prospettiva di indagine, diventa fondamentale allora chiedersi, concretamente, quali siano le connessioni più efficaci e realizzabili che il giornalismo filosofico può intessere con gli specifici contesti sociali: in quali campi pensa che, oggi, la pratica del giornalismo filosofico abbia maggiori margini di manovra e possa dare luogo a trasformazioni significative al livello dei rapporti di forza esistenti?


[1] M. Foucault, Pour une morale de l’inconfort (1979), in Dits et écrits II, Gallimard, Paris 2004, p. 783.

[2] M. Foucault, Qu’est-ce que les Lumières (1984), in Dits et écrits II, op. cit., p. 1396.

[3] M. Foucault, Entretien avec Michel Foucault (1978), in Dits et écrits II, op. cit., p. 899.


Risposte di:  Sandro ChignolaWu Ming

Contributi di:  Alain Brossat,  Paolo Vernaglione


 
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