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Un risultato simile si ritroverebbe alla fine del percorso di Louis Althusser, che pure, fra i tre, fu il più legato personalmente al Partito Comunista Francese. L’autrice, che si era già interessata al filosofo in altri luoghi[1], considera l’opera di Althusser come la cartina di tornasole delle trasformazioni intellettuali che caratterizzarono il panorama culturale francese a partire dagli anni Sessanta, mostrando come anche queste mutazioni abbiano avuto «effetti di ritorno» sulla lettura di Marx. L’opera di Althusser appare così, a tutti gli effetti, il racconto della crisi del marxismo nella seconda metà del Novecento; crisi che finisce per trascinare con sé tutta la teoria althusseriana, sancendo la sconfitta di questa avventura teorica. L’autrice propone una meticolosa ricostruzione della genesi del pensiero di Althusser, che ha il merito di prendere in considerazione anche i testi, poco studiati, precedenti al celebre Per Marx[2], per mostrare come già in questi testi sia messo in pratica il progetto filosofico di una rilettura epistemologica di Marx. Concepita con lo scopo di rompere con le letture hegelo-marxiste e umaniste del P.C.F. dell’epoca, la tesi della “rottura epistemologica” fra un periodo giovanile e un periodo maturo di Marx, integralmente filosofica nella misura in cui non teneva conto della storia del marxismo, intendeva costituire un punto di partenza per ripensare il rapporto fra teoria e prassi e fra filosofia e politica. Punto di partenza che, tuttavia, si è rivelato alquanto instabile, secondo Garo. Sostenere fino in fondo l’approccio epistemologico significava, infatti, per Althusser, sostenere, sulla scia di Gaston Bachelard e Georges Canguilhem, il primato della teoria sulla pratica, e quindi l’antecedenza logica della conoscenza sulla pratica rivoluzionaria. Ciò che ne deriva, quindi, è il ribaltamento della priorità che Marx stesso aveva stabilito nella sua critica dell’economia politica fra sapere e pratica storica inventiva, il primo essendo determinato dalla seconda.

Il lavoro della Garo mostra come proprio le esigenze di elaborazione e di conferma di questo «nuovo protocollo di lettura dell’opera marxiana» (p. 302) costringeranno sempre di più Althusser a mettere da parte il lato pratico del marxismo, sepolto sotto la mole dell’impegno di rileggere tutti i testi di Marx per confermare le proprie tesi. Verrà così inaugurata, dopo Leggere il capitale[3], una stagione di vera e propria “ermeneutica materialistica”: «sicché la politica è qui, prima di tutto, una lettura» (p. 319).

Da questa impostazione dipenderebbe l’interesse sempre più esclusivo per la nozione di ideologia, che Althusser rielaborerà attraverso il concetto di “apparato ideologico di Stato” e proponendo di concepirne il funzionamento concreto come una meccanica della soggettivazione (che è dunque sempre assoggettamento). Tuttavia, questo concetto non troverà mai, in Althusser, una configurazione teorica definitiva.

È a questo punto che l’autrice può misurare lo scacco dell’impresa althusseriana: avendo scommesso tutto sulla revisione teorica del concetto di ideologia per il rinnovamento politico del marxismo, la ricerca di Althusser finisce per chiudere di fatto ogni possibilità alla pratica politica rivoluzionaria, perché non riesce a concepire l’ideologia altrimenti che come un apparato totalizzante e a-soggettivo di dominazione e assoggettamento. D’altronde, il filosofo stesso ha ammesso in seguito che la propria teoria, portandosi al massimo grado di astrazione, si condannava a perdere ogni possibilità di presa sulla realtà, assumendo allora il “naufragio del marxismo”, di cui si parla nei suoi ultimi scritti.

A questo punto, Garo ritorce il giudizio contro il suo autore per concludere sul «naufragio» della stessa impresa teorica althusseriana, vittima dell’«onda» di rinnovamento che attraversava in quegli anni il panorama teorico e politico francese, e che il filosofo aveva creduto poter dominare e sfruttare a favore di quel marxismo che invece essa non poteva che distruggere (p. 346).

 

È comunque trattando di Michel Foucault che la penna di Garo raggiunge i suoi accenti più critici. L’esposizione della relazione fra il suo pensiero e la teoria marxiana si articola in tre parti, il cui denominatore comune è la volontà di denunciare la pretesa ambizione foucaultiana di sostituirsi a Marx. La sostanza delle analisi di Garo consiste, infatti, nel mettere in luce una strategia che caratterizzerebbe l’opera di Foucault, e cioè una strategia dell’opposizione permanente ma continuamente differita (un’«arte del differimento calcolato») a Marx e al marxismo (p. 84). L’elemento strategico dell’opposizione a Marx restituirebbe meglio la singolarità del pensiero foucaultiano rispetto alle esperienze teoriche a lui contemporanee (come quelle prese in considerazione più sopra): a differenza di Deleuze, Foucault non si sarebbe limitato a smarcarsi dalla teoria marxiana per guadagnare uno spazio di originalità teorica, ma avrebbe costruito tutto l’edificio del suo pensiero contro e in specifica alternativa al marxismo, come a voler diventare “il Marx del XX secolo”, insomma.

L’autrice suppone dunque un doppio registro nei testi del filosofo francese: da un lato, un’opposizione esplicita al marxismo sul piano politico (che fa meritare alla posizione foucaultiana la qualifica di «anticomunismo»); dall’altro lato, un confronto teorico con Marx ben più sfumato, che tradisce l’intenzione di rimpiazzare le teorie desuete del filosofo del Capitale con una costruzione teorica altrettanto potente (p. 106).

Garo segue quindi Foucault in quello che ritiene essere un percorso di progressiva emancipazione da Marx, in cui il grado di violenza dell’opposizione politica al marxismo risulta inversamente proporzionale al grado di compiutezza e di consolidamento dell’elaborazione teorica foucaultiana. Dalla querelle al vetriolo con Sartre, appena successiva all’uscita de Le parole e le cose[4], al momento di affermazione dell’ipotesi foucaultiana in un contesto intellettuale ancora segnato dal marxismo, si passa così alle ben più caute operazioni dei corsi al Collège de France della fine degli anni Settanta, che si limitano alla semplice “liquidazione” della teoria marxiana ormai non più all’ordine del giorno. In questo senso, secondo Garo, se le ricerche sul sapere e sul potere, che Foucault condurrà fino alla metà degli anni Settanta, sono ancora attraversate dall’esigenza strategica del mantenimento di un riferimento a Marx volto a «squalificarne» la portata teorica per far così risaltare la novità della teoria foucaultiana, è solo nei lavori successivi al 1977 che il filosofo francese potrà affermare positivamente la sua opzione teorica anti-marxiana e compiutamente post-marxiana.

 

Bisogna però notare che queste affermazioni non si fondano su un confronto propriamente teorico fra il metodo del filosofo francese e il metodo marxiano[5], perché evidentemente questo implicherebbe una rimessa in discussione, anche solo parziale, della teoria di Marx alla luce delle novità generatesi tanto sul piano politico che sul piano teorico nel corso del XX secolo. Invece, l’impianto del libro di Garo è risolutamente univoco, in quanto il pensiero di Marx vi è assunto come termine indiscutibile di paragone. Le analisi del pensiero di Foucault, come di Deleuze e d’Althusser, si riducono così a una semplice misurazione dello scarto rispetto a questo blocco teorico monolitico. Sicché, a nostro modo di vedere, tutto quello che in Foucault avrebbe potuto essere letto in termini di “prolungamento” dei concetti marxiani, finisce implacabilmente per essere giudicato come “deviazione”. Emblematica in questo senso è l’analisi dei corsi al Collège de France del 1978 e 1979: Garo li interpreta come la «svolta» teorica e politica di Foucault in favore del liberalismo (pp. 178-179), che altro non sarebbe che la conclusione logica di tutto il suo percorso. Nascita della biopolitica, in particolare, è visto come punto di «convergenza di tutti gli assi critici precedenti riguardo Marx e il marxismo. Permette di riannodare le due linee argomentative che sembravano fino a qui irreconciliabili: quella che fa di Marx un autore preso in una episteme del passato e quella che lo caratterizza come alternativa e minaccia, per via dell’ascrizione della sua politica sotto una verità che, di colpo, non è più tale» (p. 178).

Ancor più che per gli altri due autori presi in considerazione, dunque, il giudizio su Foucault è nettamente negativo. Se, in generale, l’autrice critica la perdita della prospettiva di «ribaltamento dello Stato o superamento del capitalismo» (p. 130), nel caso di Foucault giunge invece a prospettare un vero e proprio allineamento del filosofo sulle tesi politiche neo-liberali che caratterizzano la fine del XX secolo. Secondo l’autrice, ciò confermerebbe, una volta di più, il fallimento del tentativo foucaultiano, più ambizioso degli altri nel suo mirare a combattere il marxismo sul suo stesso terreno, nel tentativo di rimpiazzarlo con una nuova teoria politica.

 

La constatazione che chiude il libro è dunque quella di una duplice «sconfitta»: la sconfitta del marxismo francese sotto i colpi dell’«ondata» “post-strutturalista” (termine che l’autrice non ha remore a utilizzare per riassumere le teorie di Foucault, Deleuze e Althusser) e post-sessantottina, e la sconfitta, irrevocabile, delle stesse avventure post-strutturaliste che avevano pensato di poter di raccogliere il testimone del marxismo che uccidevano. È evidente che, per Garo, si tratta piuttosto di vendicare la prima di queste sconfitte con la seconda.

Ciò che l’autrice propone è una vera e propria Aufhebung di questo momento teorico e politico “post-strutturalista”, superato il quale e una volta dimostrata la necessità di questa stagione del “negativo” (cioè di critiche al marxismo), sarebbe possibile riproporre una teoria marxista “rinvigorita” che tenga conto di tutte le sfide del mondo contemporaneo. Più di ogni altra cosa, Garo intende riconquistare, infatti, la prospettiva globale e totalizzante di un «superamento del capitalismo»; prospettiva che tutto il libro ha inteso mostrare come impraticabile per le filosofie di Foucault, Deleuze e Althusser.

Tutto lascia pensare, dunque, che per Isabelle Garo l’«ondata di rinnovamento» degli anni Sessanta e Settanta in Francia, di cui pure riconosce la necessità, meriterebbe di essere archiviata nella memoria; come una mareggiata dopo la quale la terra torna visibile. Così, una sensazione ci prende infine, che veramente Foucault abbia commesso un errore: non fu sufficiente quell’onda, alzatasi un giorno contro le sponde dell’episteme moderna, a cancellare il viso di sabbia impresso sul bordo del mare.



[1] Cfr. I. Garo, «La coupure impossible. L’idéologie en mouvement, entre philosophie et politique dans la pensée de Louis Althusser», in Althusser : Une lecture de Marx, a cura di J.-C. Bourdin, PUF, Paris 2008, pp. 31-56.

[2] L. Althusser, Pour Marx, Maspero, Paris 1965, nuova ed. La découverte, Paris, 1996; trad. it. Per Marx, Editori Riuniti, Roma 19742 ; nuova trad. sulla base dell’ed. 1996, Mimesis, Milano, 2009.

[3] AA. VV., Lire le capital, sous la direction de L. Althusser, PUF, Paris 1965; trad. it. Leggere il capitale, Mimesis, Milano 2006.

[4] M. Foucault, Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966; trad. it. Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967.

[5] Confronto propriamente filosofico capace di fornire molti spunti di ricerca, in cui si è impegnato, fra gli altri, Roberto Nigro, con risultati del tutto diversi da quelli di Garo; cfr. R. Nigro, «Les enjeux d’une confrontation avec Marx», in Cahier de l’Herne: Foucault, Herne, Paris 2011, pp. 142-146. Cfr. anche il volume Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, a cura di R.M. Leonelli, Bulzoni, Roma 2010.

 
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