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Miriam Iacomini

Atteggiamento critico e impegno morale


Recensione di Giuseppe Panella, Giovanni Spena, Il lascito Foucault, Clinamen, Firenze 2006 (150 p.)


Dal momento in cui si decide di scrivere un libro sull’eredità lasciata da un filosofo ai suoi lettori, diventa opinabile qualsiasi scelta. È infatti sempre molto arbitrario decidere ciò che di un pensiero è essenziale e necessario, e quanto invece vi è in esso di superfluo e occasionale.

Una simile operazione è poi ancor più complessa se ad esserne coinvolto è un autore come Foucault, che ha sempre rinnegato l’attributo di filosofo e ha sempre riflettuto sulla nozione di verità oltre ogni enfasi di carattere metafisico, gnoseologico o ontologico. Per Foucault, infatti, la questione relativa alla verità non può che essere indagata all’interno dei rapporti storicamente dati tra potere e sapere. Scrive Foucault: il «problema generale che inseguo – o che mi insegue da più di quindici anni – e che guida d’altronde la maggior parte dei miei libri», è rispondere alla domanda: «in che modo, nelle società occidentali moderne, la produzione di discorsi cui si è attribuito (almeno per un certo periodo di tempo) un valore di verità è legata ai vari meccanismi e istituzioni di potere?» (M. Foucault, La volontà di sapere [1976], Feltrinelli, Milano 2004, p. 8).

Si tratta di un interrogativo cui Foucault ha cercato di trovare risposta indagando sui percorsi di soggettivazione, ovvero sui vari modi in cui il soggetto ha fatto esperienza di sé in diverse fasi del pensiero occidentale e in più ambiti. In tal senso, i tre volumi della Storia della sessualità sono senz’altro esemplificativi. In essi, infatti, vi si trova il tentativo di ricostruire la fitta rete di correlazione tra campi del sapere, sistema di regole e costituzione della soggettività in riferimento a quel «campo di indagine che si potrebbe chiamare la storia dell’uomo di desiderio». Una storia che viene indagata a partire dalle condizioni che hanno reso possibile e vera una certa esperienza del desiderio e della sessualità.

Ciò che quindi caratterizza la ricerca di Foucault è proprio lo sforzo di riflettere assumendo come punto di partenza il soggetto nella sua concreta ed effettiva esistenza. Uno sforzo che ha come obiettivo – e l’ultimo Foucault è molto esplicito in merito – l’«indagine storica attraverso gli eventi che ci hanno condotto a costituirci e a riconoscerci come soggetti di ciò che facciamo, pensiamo e diciamo» in vista di un rinnovamento etico possibile. «L’ethos filosofico proprio dell’ontologia critica di noi stessi» viene pertanto caratterizzato da Foucault «come una prova storico-pratica dei limiti che possiamo superare e quindi come un lavoro di noi stessi su noi stessi in quanto esseri liberi» (M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo? [1984], in Archivio Foucault 3. 1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica e politica, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 228-229).

Coerentemente a questa dimensione etica che motiva l’intera ricerca foucaultiana, Panella e Spena, i due autori di Il lascito di Foucault, individuano come filo conduttore per rileggere le opere del filosofo l’idea che la riflessine sia un gesto concreto che media il rapporto con la realtà. Ed è quindi in quest’ottica che gli autori si occupano di due diversi ambiti della ricerca foucaultiana: la letteratura e la dimensione etico-morale.

Nell’intervento di Panella, viene presa in considerazione l’opera foucaultiana degli anni ’60 e, in modo particolare, il lavoro che il filosofo ha svolto nell’ambito della critica letteraria. L’aver scelto di insistere sul rapporto tra Foucault e la letteratura, piuttosto che sulle riflessioni di tipo archeologico, non è certamente casuale. È infatti proprio la letteratura a rappresentare in quegli anni il luogo all’interno del quale è possibile assumere un atteggiamento critico nei confronti della realtà: essa permette una ridefinizione del soggetto nonché una riflessione sul limite e sulla nozione di partage. Non a caso l’autore intitola il suo intervento La pratica letteraria e lo articola in tre capitoli dedicati rispettivamente alle nozioni di autore, trasgressione e follia.

L’elemento che a mio avviso caratterizza la lettura complessiva di Panella rispetto agli argomenti citati è l’idea molto forte che la letteratura possa intervenire criticamente nella realtà, in quanto si costituisce come esperienza di scrittura. «In Foucault», scrive l’autore, «la letteratura sta al posto di scrittura e questo per due ragioni fondamentali: la prima è che la scrittura è un procedimento materiale di costituzione dell’immaginario, la seconda è che la scrittura rimanda sempre ad un altro da sé che non è riconducibile ad esso» (p. 42).

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