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Passiamo ora all’ultima sollecitazione di Melegari, che considera il modo in cui ho trattato il tema dell’attualità come il punto di maggior criticità nell’impianto teorico della ricerca.

Nel mio lavoro il concetto di attuale è stato trattato in relazione al ruolo che ha la pittura nell’ambito della ricostruzione archeologica. Essa, attraverso l’esemplarità di alcune opere d’arte, è mio avviso emblema dell’epoca alla quale appartiene e quindi, in quanto capace di far risaltare – sebbene non sul piano dell’auto comprensione razionale – la novità che l’oggi introduce rispetto al proprio presente, è in grado di instaurare un rapporto sagittale con la propria contemporaneità. È chiaro che nell’utilizzare questo linguaggio compio un po’ un’acrobazia: Foucault, infatti, impiega solo in due occasioni l’espressione “rapporto sagittale alla propria attualità”: nel celebre testo sull’Illuminismo e durante il corso al Collège de France del 1982/1983, testi in cui tale espressione viene riferita solo a Kant, autore al quale riconosce il merito di aver individuato gli elementi che rendono nuovo il moderno rispetto alla stessa modernità (cfr. M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo, in M. Foucault, Archivio Foucault, vol. 3, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 217-232). Sembra un po’ un gioco di parole, ma in realtà dietro questa espressione si nasconde l’intera questione dell’ontologia del presente: ovvero, della domanda sul presente inteso «come evento filosofico a cui appartiene il filosofo che ne parla» sapendone cogliere entusiasticamente l’elemento innovativo (M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 21-22). La riflessione sull’attuale, quindi, corrisponde ad una valutazione radicale della propria contemporaneità che, se da un lato ci restituisce la genealogia della soggettività, dall’altro, ricorda Melegari, ci mostra la fragilità del presente, la possibile apertura dell’oggi all’impossibile e cioè all’irruzione nella realtà di eventi imprevedibili.

Ora, se è vero, come nota Melegari, che nel libro non ho posto l’accento sui rapporti tra l’attuale e l’eventualità, sottovalutando l’aspetto che più lega il presente alle tensioni che lo rendono instabile, è altrettanto vero che la questione non è stata del tutto trascurata.

Innanzitutto, va ricordato, come fa già Melegari nella sua recensione, che la prospettiva della mia ricerca non è mai stata di tipo diacronico e, quindi, non ho sottoposto a istanza critica la nozione di attuale nel pensiero di Foucault. L’ho semplicemente utilizzata, forse anche in modo discutibile, per caratterizzare l’esemplarità di alcune opere pittoriche che, capaci di mostrare le leggi che governano lo spazio che contiene insieme visibile e dicibile, sembrano in grado di costituirsi come luoghi che fanno emergere l’attuale che c’è nel presente, cioè proprio quell’elemento che irrompe dalla “friabilità generale dei suoli”. Sostenere questo, però, non determina una concezione dell’attuale come momento irreversibile che blocca il possibile smottamento, la ridefinizione dei contesti o l’imprevedibilità dell’evento. Al contrario, l’attuale è qui inteso proprio come momento che coglie l’emergere del nuovo.

Inoltre, rispetto alla centralità della nozione di evento in Foucault e alla prospettiva evenemenziale che, e sono d’accordo con Melegari, caratterizza molto anche la riflessione foucaultiana della cosiddetta fase archeologica, vorrei ricordare che il tema è stato affrontato in due paragrafi. Il primo è il paragrafo 3.2 del IV capitolo dove analizzo la questione a partire dal saggio Nietzsche, la genealogia e la storia; l’altro è il paragrafo 3.4 dello stesso capitolo, momento in cui discuto la questione degli slittamenti epistemici a partire da Archeologia del sapere, testo che, come noto, è la risposta alle critiche che Foucault riceve dopo la pubblicazione di Le parole e le cose. Ricordo in particolare le osservazioni sul netto cesuralismo tra i passaggi epistemici, e il carattere olistico delle epoche archeologicamente determinate. Osservazioni che stimolano Foucault a ipotizzare un presente più fragile e vulnerabile; luogo, come il filosofo scriverà nell’articolo dedicato a Nietzsche, dove l’evento interviene all’interno di una storia in cui «le forze in gioco non obbediscono né a una finalità, né a una meccanica, ma alla casualità della lotta. Esse non si manifestano come figure successive di un disegno originario; esse non prendono affatto l’andamento di un risultato. Appaiono sempre nel rischio particolare dell’accadimento […]» (M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, in «Il Verri», nn. 39/40, 1972, pp. 96-97).

È questo uno tra i passi in cui meglio emerge quella prospettiva strategico-contestuale che ha tanta importanza per la riflessione politica di Foucault. Nietzsche, la genealogia, la storia è un testo del 1971 che, se da un lato segna assieme a L’ordine del discorso il cosiddetto passaggio alla genealogia, dall’altro aiuta a capire e leggere con più ponderatezza le opere degli anni ‘60. Opere che meriterebbero una maggiore attenzione. E forse, come ricorda Melegari, «questo è il meno che un lettore di Foucault possa fare».

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