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Marco Enrico Giacomelli discute con originalità delle vicinanze e delle possibili influenze reciproche tra Foucault e l’operaismo italiano. Le inchieste operaie (già ritenute indispensabili dallo stesso Marx), la con-ricerca teorizzata e intrapresa da Guiducci, Montaldi, Alquati, anticipano esperienze politiche come quella del G.I.P., così come l’idea della funzione del lavoro intellettuale non come guida delle masse ma come strumento per potenziare una capacità di emancipazione di cui non si vogliono predeterminare le forme. Anche nell’attenzione operaista al sottoproletariato composto da vagabondi, ex-carcerati, prostitute, ladri, si nota una comune sensibilità politica alla “devianza” sociale, problematica spesso poco approfondita dal marxismo di partito e trascurata dalle sue politiche.


Manlio Iofrida si sofferma sugli spostamenti teorici e politici del travagliato periodo giovanile di Foucault. La vicina pubblicazione, nel ’54, di due testi così eterogenei come Malattia mentale e personalità e Il sogno, nei quali troviamo la stridente presenza di marxismo ortodosso e psichiatria fenomenologica, si spiegherebbe attraverso la varietà di marxismi sviluppatisi in Francia nel secondo dopoguerra, e le cui prospettive ideologiche andavano ben al di là della cultura interna al PCF (al quale Foucault aderì solo dal ’50 al ’53). Partendo da ciò, Iofrida rintraccia la crescente influenza su Foucault di autori come Breton, Char, e in particolare Bataille e Blanchot, attraverso i quali marxismo, surrealismo, tematiche esistenzialiste, e autori come Marx, Nietzsche e Heidegger, venivano fusi a definire una «via letteraria alla rivoluzione» (p. 100), pensata quale rivoluzione culturale e totale, esteriore ed interiore, e solo come tale realmente alternativa all’ordine borghese. La rivoluzione politica non è qui pensata come di per se risolutiva, ma come condizione necessaria per aprire la fase della dialettica non storica, della ricerca piena dell’autenticità e della libertà, irriducibile alla soddisfazione dei bisogni materiali, al lavoro “disalienato”, ma che certo non potrebbe realizzarsi indipendentemente dal conseguimento di questi obiettivi. Tali riferimenti permettono di discostarsi dall’opinione di Macherey[1] che riscontrava nel Foucault della seconda metà degli anni ’50 una sostituzione di Marx attraverso Nietzsche e Heidegger. La rielaborazione del testo del ’54 sulla malattia mentale, uscita nel ’62 col titolo Malattia mentale e psicologia, evidenzierebbe piuttosto lo spostamento da un marxismo ortodosso ad un marxismo nietzscheano-heideggeriano, dovuto probabilmente oltre che alle “folgoranti” nuove letture di Foucault anche al cambiamento del clima politico, successivo alla morte di Stalin e alla crisi dell’Ungheria del ’56, che vedeva la crisi della generazione degli intellettuali gauchisants.

L’attenzione a queste radici filosofiche, da Foucault sempre sottolineate nel ripercorrere la propria biografia intellettuale, consente una lettura più esatta di molte tematiche e l’ampliamento di ipotesi critiche che rimangono aperte. Ad esempio, allorquando Foucault si dissocia dalla visione del lavoro come essenza umana, o dall’umanismo dialettico che promette un “ritorno a sé”, il recupero di una pienezza, non dobbiamo ricavarne immediatamente un rifiuto del marxismo tout court, ma anche il riferimento a posizioni politiche che, per quanto eretiche, erano interne al variegato contesto del marxismo francese e allo spirito di emancipazione che ad esso era legato. A questo proposito vale la pena riportare un passo di Breton citato, attraverso Blanchot, da Iofrida: «La précarité artificielle de la condition sociale de l’homme ne lui volera plus la précarité réelle de sa condition humaine» (p. 103)[2]. Qui si può notare un utilizzo molto particolare, rovesciato, del concetto di alienazione, che ritroviamo come sfondo di tutta la Storia della follia, nel quale si manifesta una lettura di Marx associata ad una sensibilità tutta novecentesca che non poteva appartenere al filosofo di Treviri, ma che non per questo viene proposta come antitetica alla sua filosofia, bensì come una integrazione di essa. Anche il tema dell’immaginazione – di cui già si è vista l’importanza anche per il Foucault maturo in polemica con il marxismo ufficiale – trova già in questi autori un ruolo tanto filosofico quanto politico di primo piano, e dunque non andrebbe letto immediatamente in chiave anti-marxista.


Anche Rudy M. Leonelli pone al centro del suo intervento il corso “Bisogna difendere la società”, proponendo l’espressione genealogia della genealogia, cui si è già accennato, per indicare il particolare esercizio filosofico qui esibito da Foucault, e cioè «la torsione riflessiva effettuata dalla genealogia attraverso il riferimento dei propri procedimenti a se stessa» (p. 114). Viene mostrato nel dettaglio quanto il diverso modo di affrontare la questione del discorso storico rispetto a Lukács[3] trovi corrispondenza già, come lo stesso Foucault precisa, in Marx, nella sua consapevolezza della parziale provenienza dell’analisi sociale in termini di lotta di classe dalla “guerra delle razze” degli storici della Restaurazione – questione per altro approfondita da altri famosi marxisti francesi come Lefebvre, Châtelet, Balibar, così come in Italia da Gramsci. Attraverso un’accurata ricognizione filologica vengono rintracciate lampanti vicinanze tra Foucault e Marx sul tema della guerra come principio di intelligibilità della società, su quello delle diverse forme di potere attraverso cui si rende possibile il governo e sul carattere dinamico di tali forme. Foucault avrebbe inoltre operato una generalizzazione del principio di produttività del potere che Marx aveva affrontato riguardo la fabbrica (già rintracciando in essa i metodi della disciplina militare), estendendolo all’analisi delle forme di potere-sapere legate allo sviluppo e al funzionamento delle istituzioni educative ed ospedaliere.

Nella ripresa di tematiche affrontate dal pensiero marxista nel corso del ’76 Leonelli vede in Foucault un esempio di come rapportarsi alla ricchezza degli studi marxisti offuscati dalle correnti dominanti, e dunque di come rilanciare una continuità “scientifica” estranea ad ogni dogmatismo di partito, un “post-marxismo” che non tagli i ponti con l’intera eredità degli studi legati alla tradizione marxista.


Su molti punti qui accennati, come su altri che rimangono un po’ da parte – il rapporto di Foucault con la dialettica, le problematiche circa la temporalità storica, il contesto francese di una nascente “sinistra non marxista” – il campo rimane aperto a ulteriori studi e riflessioni, che in questo volume possono trovare un’introduzione, una cornice generale e numerosi suggerimenti specifici. Come si è visto, viene offerto un confronto sul piano dei contenuti, senza portare Foucault da una parte o dall’altra di schieramenti di cui conosceremmo già le ragioni e i torti. A un’operazione simile Foucault non potrebbe che risultare sempre recalcitrante, in quanto sempre ostile alle facili etichette e sempre abile a rendersi ad esse irriducibile. Se per lui era necessario schierarsi, lo era in un senso molto particolare: «Bisogna passare dall’altra parte – dalla “parte giusta” – ma per tentare di divincolarsi da quei meccanismi che fanno apparire sempre due parti: per disciogliere quella falsa unità, quella “natura” illusoria dell’altra componente per cui si parteggia. È qui che comincia il vero lavoro, quello dello storico del presente»[4].

Foucault sarà sempre dalla stessa parte di chi cerca di capire e trasformare il presente, chiedendosi come siamo dominati, cosa ci limita, come spostare questo limite. In una parola: cos’è la lotta – sia come ciò che subiamo, anche laddove ci riteniamo pienamente liberi, sia come ciò che possiamo fare? Come “rivoluzionare” il presente ora che la rivoluzione stessa non può più essere solo una promessa ma è diventata per noi un problema? A paragone di questa: «[…] tutte le domande di collocazione o di programma che ci vengono poste: “È marxista?”, “Cosa farebbe se avesse il potere?”, “Quali sono i suoi alleati e le sue adesioni?”, queste sono domande veramente secondarie»[5].



[1] Cfr. P. Macherey, Aux sources de l’Histoire de la folie: une rectification et ses limites, «Critique» 471-2 (1986).

[2] Cfr. M. Blanchot, La part du feu, Gallimard, Paris 1999.

[3] Cfr. supra l’intervento di Forni Rosa.

[4] M. Foucault, No al sesso re, cit., pp. 149-150.

[5] Ivi, pp. 155-156.

Lire l'entretien inédit de Michel Foucault à Rouge.

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