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Alessia Nuzzachi

Campi di forza


Recensione di Alessandra Sciurba, Campi di forza. Percorsi confinati di migranti in Europa, Ombre Corte, Verona 2009 (267 p.)

Il libro di Alessandra Sciurba, così come i concetti di “campi di forza” e di “percorsi confinati” che ci propone per interpretare la realtà dei migranti in Europa, nascono da un connubio strettissimo fra riflessione storico-teorica ed esperienza concreta sul campo. In questo modo i luoghi e le storie di vita dei migranti con cui Sciurba entra in contatto, fra le quali quelle di Abdalla, Alì, Rahim, Fortune, Babajan che ci vengono presentate nell’ultimo capitolo del libro, possono essere interpretate alla luce degli strumenti teorici precedentemente acquisiti, non senza che queste abbiano contribuito a formare e a modificare tale bagaglio teorico e concettuale.

Dal punto di vista teorico, infatti, Sciurba ripercorre in modo chiaro le trasformazioni che hanno accompagnato storicamente le parole chiave di cittadinanza, confinamento, stato nazionale e diritti universali, e i rapporti intercorrenti fra esse. Attraverso un’analisi che si sviluppa a partire dalla Rivoluzione francese per arrivare fino ad oggi, Sciurba mostra come il gesto di porre confini, gesto potenzialmente plurivalente, sia stato storicamente interpretato evidenziandone non l’aspetto relazionale e inclusivo, ma quello strettamente delimitante ed escludente. Ciò che, nello specifico, è messo bene in evidenza è la complessa ragnatela di questi confinamenti, il legame cioè fra confinamento del territorio (dello stato nazionale) e confinamento della cittadinanza; il legame fra questi due e il confinamento della mobilità che, come è facile intuire, è ciò che mette in crisi l’unità ricercata e ottenuta attraverso il confinamento del territorio e della cittadinanza; infine come l’unione di questi diversi confinamenti si sia costantemente tradotta anche nel confinamento fisico di diverse categorie di soggetti che sono rimasti al di là dei confini tracciati.

Già a partire dal periodo successivo alla Rivoluzione francese, infatti, la cittadinanza assume i confini dello stato nazionale, l’uomo si “riduce” a cittadino e i diritti umani a quelli del cittadino dello stato nazionale («aporia della territorializzazione dell’universale»), mentre contemporaneamente lo straniero diventa il non-cittadino e vittima di quel nuovo razzismo che Foucault individua come «razzismo di stato»[1], fondamentale nella costruzione dei nazionalismi.

Dall’unione fra confinamento della cittadinanza e confinamento del territorio, il quale assume confini stabiliti secondo una modalità identitaria ed esclusiva di individuazione e riconoscimento dei legittimi abitanti del suolo statale, il territorio si va definendo in termini oppositivi sia verso l’esterno che verso l’interno, dando il via a processi di deportazione o internamento su base etnica, mentre la sovranità sul territorio (controllo dei confini) diventa sovranità sulla mobilità degli individui e divisione degli individui all’interno della società in “normali” (cittadini pienamente detentori dei diritti sanciti) e “anormali” (individui passibili in ogni momento di internamento amministrativo, cioè individui che forniscono un appiglio per una certa pratica di gestione della residualità). All’interno di questo stretto legame fra stato moderno e controllo della mobilità, la libertà di movimento si trasforma da diritto universalmente garantito in prerogativa del pieno esercizio della cittadinanza nazionale con la conseguenza che, nel momento stesso in cui si inventa un’immigrazione legale, ne viene creata anche una illegale assieme alla figura del clandestino. La distinzione fra cittadini e stranieri si complica e assume la fisionomia di una distinzione fra cittadini, stranieri legali e stranieri illegali, ancora oggi gravida di conseguenze.

Dopo aver mostrato come anche nella nuova realtà dell’Unione Europea il confinamento del territorio, della cittadinanza e della mobilità seguano la via della rigida opposizione fra cittadini e non-cittadini, in continuità con lo schema già nazionale, Sciurba evidenzia come, ad oggi, la strategia di governo adottata dall’Unione Europea non sia tanto rivolta alla difesa dei confini esterni tout court, quanto ad una inclusione differenziale e finalizzata dei soggetti migranti all’interno dei confini europei, strategia che trova le sue ragioni non solo nello sfruttamento economico, ma anche in istanze di ordine sociale, politico e simbolico connesse, appunto, alla presenza dei migranti.



[1] M. Foucault, Corso del 17 marzo 1976, in Bisogna difendere la società, Milano, Feltrinelli 2009.

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