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Che la scrittura si definisca come “procedimento materiale di costituzione dell’immaginario” è un aspetto che Panella lega alla proliferazione del linguaggio, ovvero alla possibilità data alla scrittura di rovesciare i rapporti tra autore e opera. Infatti, in un contesto teorico in cui il linguaggio letterario si emancipa dalla dipendenza alla trama, al racconto e alla regola narrativa, per scoprirsi capace di produrre significato oltre l’intreccio e oltre la volontà del soggetto nella sua funzione autoriale, accade quasi fatalmente che sia proprio il linguaggio a emergere sovrano. «La macchina rousseliana», scrive Panella, «è fatta di parole – non consente altra scelta che tra di esse per mostrare la realtà. Infatti, la loro casualità si rovescia in causalità nel momento in cui esse son lanciate nel mondo a cercare la loro verità e la loro disposizione ottimale» (p. 59).

Ora, è chiaro che dal momento in cui il linguaggio viene emancipato dalle esigenze rappresentative e narrative legate alla funzione autoriale del soggetto, la parola diventa impermeabile rispetto al senso prestabilito. Essa trova l’orizzonte che ne definisce il significato all’interno del testo letterario che, proprio perché in grado di attribuire significato alle parole riferendole a sé, connota il linguaggio in senso esoterico. Ed è proprio la natura esoterica del linguaggio che rende possibile, nell’ottica foucaultiana, un legame tra letteratura, follia e trasgressione. Per Foucault, infatti, il linguaggio della letteratura e della follia hanno in comune l’essere strutturalmente trasgressivi rispetto al contesto. L’una e l’altra si relazionano al linguaggio non sottomettendosi al codice al quale appartengono, ma cercando di istituire un ordine del discorso nuovo e auto implicante. Un discorso che quindi installa nella parola che utilizza la chiave d’accesso al proprio significato, senza per questo diventare una parola cifrata che nasconde un significato proibito e inaccessibile. Il linguaggio esoterico è tale nella misura in cui utilizza una parola che prende corpo attraverso la scrittura e scava, dall’interno del discorso al quale appartiene, la cavità nella quale il discorso si dona rendendosi autonomo dal codice di appartenenza. Quindi, è proprio l’esperienza della scrittura a porsi al centro della riflessione sui rapporti tra follia e letteratura. Una centralità che Panella sottolinea evidenziando come la scrittura dal XVII secolo in avanti sia diventata il mezzo attraverso il quale esprimere tutto ciò che è «al di fuori della logica sociale del linguaggio [e] al di fuori della sua spendibilità come equivalente monetario della comunicazione e accumulazione originaria del significato» (p. 76).

È evidente che siamo di fronte ad una corrispondenza tra follia (intesa come esperienza di pensiero esterna alla comune ragione) e scrittura in un’ottica dominata dall’idea della trasgressione e in vista di un depotenziamento del soggetto che si sottrae alle forme di scrittura predeterminate per recuperare un rapporto tra pensiero e parola disponibile a istituire nuove reti di senso. Si tratta di intravedere nell’incidenza di pensiero e parola, meglio: nell’incidenza di pensiero e scrittura, l’apertura ad un nuovo spazio che è quello della produzione di senso nella misura in cui è disponibile ad accogliere tutto quel mondo aleatorio e impossibile-da-pensare escluso dall’ordine del discorso e dominato dallo slittamento semantico e dal superamento del limite.

Per queste sue caratteristiche, Panella inscrive l’esperienza letteraria, in quanto forma di scrittura autoimplicante, nell’ordine delle eterotopie. Citando testualmente la nota conferenza del 1967 sugli “spazi altri”, l’autore afferma che la portata critica della letteratura sta nel fatto di costituirsi come spazio alternativo. Non nel senso dell’utopia, che si definisce o come proiezione cristallizzata nella sua astratta perfezione della realtà esistente, o come rovesciamento critico ma immobile e impossibile del luogo reale. Essa è spazio alternativo, perché è luogo in cui si connettono altri luoghi, o meglio i luoghi altri. «Le eterotopie inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzi tempo la “sintassi” e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che fa tenere insieme (a fianco e di fronte le une e le altre) le parole e le cose» (p. 42).

L’aver collocato la letteratura nell’ambio delle eterotopie, è un passaggio interpretativo molto interessante, almeno per due ragioni.

Innanzitutto, perché permette di riflettere sulla letteratura in quanto «luogo connesso a tutti i luoghi, spazio assoluto nel quale far muovere e giocare il pensiero» (p. 25) rendendolo capace, come già sottolineato, di recuperare un rapporto non contaminato con la parola. Poi, perché inscrive, a mio avviso, l’esperienza letteraria all’interno di una dimensione critica senza per questo riconoscerle una portata etica. Se è vero, infatti, che la scrittura produce un effetto di rinnovamento del soggetto nella sua funzione autoriale perché reintroduce il discorso all’interno di quello spazio vuoto generato dall’incontro non compromesso tra pensiero e parola, è altrettanto vero che l’esperienza letteraria, aleatoria, olistica, elitaria ed individuale, non è produttiva rispetto alla costituzione di una soggettività etica. Foucault, infatti, arriverà a elaborare un lavoro di costituzione del sé negli ultimi anni della sua infaticabile ricerca attraverso l’idea, molto forte, di una estetica dell’esistenza. Si tratta, secondo Spena, di interpretare l’ultimo Foucault come l’autore che propone una nuova problematizzazione del soggetto, che viene tematizzato negli anni ’80 secondo coordinate teoriche inedite. La questione del soggetto, infatti, non è un tema nuovo per l’ultimo Foucault. Al contrario, essa è sempre stata una delle tematiche centrali della riflessione foucaultiana e questo fin dall’Introduzione a La rêve et l’existence, laddove il tema del soggetto veniva trattato dal punto di vista della «connessione disgiuntiva individuata tra esperienza e libertà» (p. 118). Ma anche in altre opere degli anni ’60, il soggetto è al centro della riflessione di Foucault: in Storia della follia, per esempio, l’emergere del soggetto viene indagato in riferimento ai processi di autodeterminazione della razionalità; mentre in Le parole e le cose sono le pratiche del sapere a costituire il veicolo attraverso il quale si indaga sulla funzione che il soggetto svolge all’interno del discorso.

Ciò che, invece, caratterizza fortemente la riflessione sul soggetto nell’ultimo Foucault è il tipo di problematizzazione che investe l’argomento: l’interesse di Foucault, infatti, è «produrre una genealogia di come il sé costituisca se stesso come soggetto» (p. 128); gli interessa, cioè, capire in che modo un insieme di pratiche discorsive e non discorsive costruiscano “giochi di verità” intorno al soggetto, in vista di un superamento delle forme di assoggettamento. Si tratta pertanto di impostare una ricerca «sul come si configuri il sé nell’oggi», bisogna cioè indagare «attorno la nuova individualità da cogliere nel presente, [poiché] è compito del presente interrogarsi sul come il singolo si autocostituisca» (pp. 129-130) puntando verso un possibile rinnovamento etico.

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