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Jean-Marc Leveratto

Risposte all'intervista doppia "Tecniche del corpo e tecniche di sé"

Tradotto dal francese da Daniele Lorenzini


       Tanto le tecniche “disciplinari” che Michel Foucault ha studiato, per esempio, in Surveiller et punir, quanto le “tecniche del corpo”, di cui ha parlato Marcel Mauss, sembrano avere in comune il fatto di applicarsi su corpi individuali per creare delle disposizioni temporalmente durevoli, attraverso procedure specifiche di dressage. Tali tecniche, impiegate tramite una vasta gamma di schemi di ripetizione, appaiono rivestire un ruolo importante nella produzione/riproduzione delle relazioni di potere che permeano un determinato ordine sociale e culturale. Lei crede ci possa essere spazio per tentare un raffronto tra le tecniche disciplinari di Foucault e le tecniche del corpo di Mauss? Quali vantaggi potrebbero derivare da simile accostamento, e quali limiti (concettuali e metodologici) vanno comunque posti ad esso?

J.-M. Leveratto: Numerosi sociologi francesi compiono, esplicitamente o implicitamente, questo avvicinamento, favoriti in tal senso dalla popolarità acquisita, in Francia, dalla sociologia di Pierre Bourdieu e dalla sua concezione di habitus. Mi sembra però un’operazione contestabile, e per almeno due ragioni. La prima è che fa del corpo un semplice strumento di rappresentazione del potere dello Stato, o di un gruppo sociale che impone la sua dominazione all’individuo: sacrifica così l’attenzione all’azione del corpo su se stesso, che costituisce l’apporto fondamentale della “microfisica del potere” difesa da Foucault. La seconda è che impoverisce considerevolmente la nozione di tecniche del corpo, ci fa dimenticare la loro diversità e ci incita ad assimilarle a rappresentazioni collettive piuttosto che a saperi del corpo in azione. Svaniscono così tre aspetti delle tecniche del corpo sui quali Mauss insiste in modo particolare: la loro efficacia biologica (il potere di agire sul vivente), la loro funzione cognitiva (il controllo delle emozioni) e il loro valore affettivo (la domesticazione del piacere).

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       È noto che, durante gli ultimi anni della propria vita, Foucault abbia cominciato a parlare di “tecniche” non più solo in relazione al corpo, ma anche a ciò che egli chiama “sé”. Come può essere concepito questo slittamento dalle tecniche disciplinari di dressage incentrate sul corpo alle tecniche di sé (che certo comprendono ancora il corpo, ma che forse non sono ad esso completamente riducibili)? In altri termini, crede che il concetto foucaultiano di “tecnica” applicato al corpo sia lo stesso di quello applicato al sé? E questa distinzione tra corpo e sé, e tra tecniche del corpo e tecniche di sé, può essere reperita – in qualche forma – anche nel pensiero di Mauss?

J.-M. Leveratto: È l’interpenetrazione tra il «sapersi servire del proprio corpo» (la definizione che Mauss dà della tecnica del corpo) e le tecniche di sé che bisognerebbe, al contrario, cominciare a sottolineare. Ed evitare di considerare le due nozioni solo dal punto di vista della moralizzazione della condotta, circostanza che favorirebbe l’identificazione delle “tecniche del corpo” con quegli schemi corporei imposti dai dispositivi disciplinari studiati in Surveiller et punir. Significherebbe obliterare due degli apporti maggiori di Foucault in L’usage des plaisirs: la distinzione tra la morale e l’etica, in quanto «rapporto che l’individuo ha con se stesso quando agisce», e il ruolo della prova (la sperimentazione personale) dei piaceri del corpo, che permette alla persona di divenire il soggetto della propria vita e delle proprie azioni. Solo a condizione di non ridurre le tecniche del corpo a prodotti dell’obbedienza o della costrizione, e di includervi al contrario gli usi intimi e volontari da parte dell’individuo del proprio corpo, sarà possibile riconoscere l’affinità tra il progetto di Mauss e quello di Foucault. Le tecniche di sé si appoggiano su degli usi del corpo che permettono a ciascuno di esplorare la propria sensibilità e di fare della propria vita un’opera d’arte. Questo impiego del corpo nella “cultura di sé” è preso in considerazione da Marcel Mauss nel suo inventario delle «maniere di saper utilizzare il corpo umano», tra le quali alcune – le «tecniche di riproduzione sessuale», gli sport e le pratiche culturali – sono tecniche di autocontrollo delle proprie emozioni messe in atto allo scopo di realizzare se stessi.

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       Sia Foucault, soprattutto nel corso al Collège de France del 1982 (L'herméneutique du sujet), sia Mauss, più fugacemente, in Les techniques du corps, fanno riferimento alle tecniche stoiche per esemplificare ciò che hanno in mente. Solo che, in Mauss, esse sembrano essere tecniche del corpo, il cui scopo sarebbe quello di «faire adapter le corps à son usage», mentre in Foucault hanno già a che fare con la dimensione più “vasta” del sé. Dove si può rintracciare, secondo lei, la differenza tra Mauss e Foucault in questo comune riferimento agli stoici, e dove si situa la frontiera tra tecniche del corpo e tecniche di sé a tal proposito?

J.-M. Leveratto: L’“assenza di opera” che definisce la singolarità della produzione scritta di Marcel Mauss, e l’uso scolastico e sistematico del testo sulle tecniche del corpo per supportare la definizione durkheimiana del fatto sociale, portano ad un’incomprensione della “tecnologia” maussiana e giustificano questa messa in tensione dei due progetti. Leggere il testo reintegrandolo nel percorso intellettuale di Mauss e resituendolo così al suo contesto, conduce invece a prestare attenzione a ciò che, nel corso della dimostrazione, riempie di senso il riferimento finale agli stoici. Marcel Fournier sottolinea giustamente l’importanza dell’aforisma conclusivo, «è grazie alla società che vi è intervento della coscienza. Non è grazie all’incoscienza che vi è intervento della società». Tale aforisma assegna all’aneddoto dell’andatura femminile, che può sembrare futile, una funzione epistemologica (cfr. il mio articolo su «Lire Mauss», in Le Portique, n. 16, 2006, disponibile in linea). Quest’ultima ricollega il testo a quello che Lévi-Strauss, nella sua antologia, ha posto prima, anche se è stato scritto quattro anni più tardi di Les techniques du corps, costituendone manifestamente l’esito: Une catégorie de l’esprit humain : la notion de personne, celle de “moi”. Mauss vi sottolinea il progresso, che «è stato fatto soprattutto con l’aiuto degli Stoici», nel riconoscimento dell’individuo come una «persona morale cosciente» e nella promozione di quello che è divenuto «il nostro esame di coscienza» (M. Mauss, Sociologie et anthropologie, PUF, Paris 1950, pp. 355-356). Il suo proposito si iscrive in un tentativo di genealogia di una categoria che “equipaggia” (équipe), in quanto presupposto (in senso goffmaniano), le interazioni contemporanee, e non in una storia delle mentalità, poiché «è evidente che non è mai esistito un essere umano che non avesse il senso, non solo del proprio corpo, ma anche della propria individualità spirituale e corporea allo stesso tempo» (Ibid., p. 335). Trovo qui una conferma di come il testo su Les techniques du corps non debba essere separato dagli scritti sul «fatto sociale totale» e sull’obbligo di prendere in considerazione l’uomo «completo», il «complesso psico-fisiologico totale con il quale abbiamo a che fare» (Ibid., pp. 304-305). Se ritorniamo all’aneddoto, quest’«uomo completo», è anche la giovane donna moderna che prova e rende sensibile agli altri, attraverso il proprio modo di camminare per strada, la propria indipendenza…

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continua...

 

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