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Tiziana Faitini

Foucault: «il magistero di un autentico insegnamento»


Compte-rendu de Alessandro FontanaUna educazione intellettuale. Saggi su di sé, su Foucault e su altro, La Casa Usher, Firenze 2018 (284 p.)


A qualche anno dalla scomparsa di Alessandro Fontana (Sacile 1939 – Parigi 2013; qui un profilo biografico), esce per Casa Usher la raccolta di scritti Una educazione intellettuale. Saggi su di sé, su Foucault e su altro. Il lungo Rapportoredatto da Fontana nel 1993 in vista dell’abilitazione a dirigere ricerche nell’università francese e presentato nella traduzione di Dante Fedele apre il volume, che comprende poi tredici contributi usciti originariamente in italiano, tra cui i saggi da lui dedicati a Michel Foucault e qualche pagina su altri maestri (l’introduzione alla sua traduzione di Antiedipodi Gilles Deleuze e Félix Guattari, completata da un articolo su Mille piani), insieme ad autonomi prolungamenti di indagini genealogiche sulla coscienza moderna che muovono tra psicanalisi, sistemi penali e sicurezza sociale. La selezione basta già a suggerire l’inconsueta ampiezza di spettro della ricerca del loro autore, spettro in cui si può meglio spaziare scorrendo la bibliografia degli scritti, posta a chiusura del libro, e sfogliando le altre due raccolte di recente uscite a cura di amici e allievi: Venezia. La verità delle maschere (Scripta, 2014) e L’exercice de la pensée. Machiavel, Leopardi, Foucault(Publications de la Sorbonne, 2015). La prima raccoglie tre scritti sul mito politico e letterario di Venezia; la seconda, oltre ad un ulteriore testo dedicato alla Serenissima e ad alcuni studi sui grandi della letteratura italiana, include il Rapportonell’originale francese (rimasto inedito fino a quel momento) e la traduzione di Leggere Foucault, oggi.

Uditore fin dalla prima ora dei corsi di Michel Foucault al Collège de France e membro attivo dei seminari che li affiancarono dando vita a quel laboratorio di collaborazione tra studiosi eminenti e giovani ricercatori che si rivelerà così fecondo di piste di ricerca, Fontana è noto agli studiosi di Foucault anzitutto come promotore dell’appassionata iniziativa editoriale che ha consentito la pubblicazione dei corsi tenuti al Collège (ricostruita in un’intervista collettiva, a cura di Christian Del Vento e Jean-Louis Fournel, L’édition des cours et les “pistes” de Michel Foucaultche si può leggere qui), nonché per le sue traduzioni italiane e per alcuni saggi su Foucault, sporadici ma cruciali – uno su tutti il già citato Leggere Foucault, oggi– e ora inclusi in questo volume. Difficile, tuttavia, rubricarlo nell’orizzonte degli studi foucaultiani, lui che pure definisce quello sperimentato nella collaborazione con Foucault «il magistero di un autentico insegnamento» (p. 56). Fontana non risparmiava talora, il lettore ne troverà facilmente qualche traccia da sé, critiche taglienti indirizzate all’ermeneutica del verbo foucaultiano, attorno al cui sacro fuoco vedeva disincantato il crescere di vestali e sacerdoti tanto affannati sulla lettera quanto infedeli allo spirito. Lo faceva però con la sprezzatura di chi fa sul serio – una vita in biblioteca e chilometri di appunti accumulati e catalogati in ogni anfratto della lunga libreria di casa a testimoniarlo – senza prendersi mai sul serio. Una sprezzatura che appariva, ma solo ad uno sguardo distratto, quasi un vezzo, e che rispondeva invero alla volontà chiara e distinta di non cadere nella trappola della dialettica accademica, convinto, per dirla con Deleuze e Guattari, che è su altri tavoli che filosofia e ricerca gettano i loro dadi.

Lo mostra chiaramente il Rapporto per l’abilitazione, testo accademico per eccellenza la cui stesura Fontana ha rimandato indefinitamente nel tempo, nell’intento, lo scrive nelle prime righe, di fare «di una necessità tutto sommato istituzionale una virtù malgrado tutto intellettuale» (p. 24). Ne è risultato così il raffinato racconto di un’esperienza personale di vita e ricerca, vissuta dalla prospettiva di chi si è mosso sul confine di due Paesi, due mondi universitari, due tradizioni, due culture – incessantemente confrontate, contaminate e travasate l’una nell’altra. Un’autobiografia intellettuale, se si vuole, ma a tal punto misurata sulla machiavelliana «qualità dei tempi» da farsi racconto potente di un’epoca dello spirito (la Parigi degli anni sessanta e settanta) e dell’esperienza di un’intera generazione, che si è trovata a confrontarsi e lavorare con grandi maestri e a costruire forme inedite di militantismo politico. E in questo è testimonianza preziosa per chi oggi quell’epoca e quell’esperienza vuole avvicinare e comprendere. Il lettore di Foucault, in particolare, apprezzerà la lucidità dei paragrafi sui corsi e sui seminari al Collège de France. Ma non mancherà di sorridere sbirciando ritratti dell’accademia italiana del dopoguerra che paiono usciti da un Amarcordsenza tempo, né di farsi interrogare da quella che è un’esplicita «professione di fede» nell’insegnamento (p. 87).

Un appunto merita solo la decisione dell’editore di alterare le virgolette, uniformi nell’originale, per distinguere tra «citazioni» e “modi di dire”. E non per acribia. Anzitutto, perché è un’operazione in fin dei conti impossibile nella scrittura avara di note e intramata di rimandi impliciti di chi – come scriveva Proust, l’amatissimo Proust – aveva bisogno di immergersi, di essere imbevuto di tutto quanto potesse esser letto su un argomento per ricavare e cesellare una frase, una riga sola – che per questo porta scritto: “più in là”. Più ancora, perché quella qualità di scrittura narra di tempi e condizioni differenti, nella libertà di chi poteva permettersi di non prendere parte a selezioni, riunioni, commissioni, valutazioni, e riversava molto, starei per dire tutto, del suo lavoro nei corsi – all’École normaledi Fontenay-Saint-Cloud e Lyon, ma più tardi anche a Catania e infine a Trento –, e nel dialogo che dai corsi faceva scaturire e che sapeva coltivare con generosità, davanti a interminabili caffè come lungo le gallerie del Louvre o nelle sacrestie di Venezia. Se la vivacità di quei pomeriggi non può essere restituita, è proprio nella scrittura – il come, prima ancora del cosa – che se ne ascolta l’eco e si ritrova uno stile di ricerca, nutrito delle letture più eterogenee, forgiato da scorribande solitarie nelle praterie della storia e informato attorno alla costruzione di problemi assai più che all’esposizione di dottrine. Di questa ricerca il Rapportoricostruisce il fil rouge, i saggi su Foucault chiariscono il metodo e i contributi dell’ultima parte danno applicazione. Ciò che è “su di sé” e ciò che è “su Foucault” risulta dunque, nei testi qui raccolti, intrecciato e finanche indistinguibile. Foucault è uno stile di pensiero e di lavoro intellettuale, quello stile di pensiero è di Foucault ma, infine, non è solo suo. E se ci si chiede come lavorare non su, ma con e a partire (anche) da Foucault, queste pagine – e l’esperienza cui esse fanno segno – si offrono ora, mi pare, come viatico insostituibile.

 

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