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Alessandro Baccarin

La “pre-sessualità” del mondo antico: la sfida di un archivio


Compte-rendu de Sandra Boehringer & Daniele Lorenzini (a cura di), Foucault, la sexualité, l’Antiquité, Éditions Kimé, Paris 2016 (196 p.)


Lasceremo i colori ai muri e a quelle donne la cui pazzia costituisce la sozzura dei giovani. Ballino e ridano pure indecentemente, quelle donne: le scostumate, a noi non è lecito neppure vederle. Il buon comportamento costituisce la cosa preziosa delle donne; il rimanere a casa per lo più a conversare con le sentenze di Dio, il fuso e la lana: il compito delle donne, infatti, consiste nell’amministrare le opere delle ancelle, evitando i servi, tenere chiuse le labbra, gli occhi e le guance e raramente portare il piede fuori della soglia; rallegrarsi della compagnia delle donne prudenti e del marito soltanto, al quale tu sciogliesti la verginale cintura per volere di Dio[1].

Difficile non collocare queste parole di Gregorio di Nazianzo (III sec. d.C.), tratte dalla sua invettiva-omelia contro le donne truccate, nel solco di quella sessuofobia e somatofobia che una lunga tradizione di studi ha individuato nel primitivo cristianesimo, facendone il segno identificativo della morte di un mondo antico suppostamente più libero nei confronti del sesso e del libero uso del corpo. Tuttavia, è proprio attraverso simili testimonianze che è possibile apprezzare l’immenso lavoro genealogico portato a termine da Michel Foucault nella sua Histoire de la sexualité, quel grande progetto di scavo condotto attorno al soggetto di desiderio che ha consentito di osservare, attraverso una lettura originale di testi simili a quello sopra riportato, la profonda continuità fra Antichità pagana e Medioevo cristiano rispetto alla morale sessuale. Uno scavo genealogico destinato a spostare definitivamente la discontinuità dal piano delle rappresentazioni, o della storia delle idee, al piano delle relazioni di potere, così da individuare nella “nascita” del soggetto di desiderio il vero asse di discontinuità dal quale dipende, ancora oggi, la nostra esperienza di soggetti dotati di sessualità.

È questa grande e originale capacità di lettura dei testi antichi che emerge come tratto peculiare del Foucault “antichista” nei vari saggi che compongono il bel lavoro miscellaneo diretto da Sandra Boehringer e Daniele Lorenzini. Lavoro che, come anticipano consapevolmente i curatori nell’Introduzione (p. 11), si inserisce in una conclamata attualità editoriale, un’attualità che circonda oggi i due ultimi volumi dell’Histoire de la sexualité e che si caratterizza, da una parte, per la presenza sempre più massiccia nei cataloghi e nelle riviste specialistiche di articoli e monografie dedicate alla “sessualità” greco-romana e, dall’altra, per la definitiva pubblicazione dell’intera serie dei corsi tenuti dal filosofo francese al Collège de France.

Prima di passare in rassegna i singoli contributi che compongono il volume, è bene sottolineare i tratti, metodologici e di contenuto, che li accomunano. In primo luogo, il principio di una “dé-disciplinarisation” (p. 11), ovvero di un approccio non solo multidisciplinare, ma anti-disciplinare[2]. L’intervento di competenze multiple, dalla storia antica alla psicoanalisi, dall’antropologia alla filosofia o alla linguistica, consente agli autori un approccio multidirezionale, capace di prolungare quell’invito foucaultiano a procedere per problematizzazioni, piuttosto che per campi disciplinari. Emerge inoltre dai vari contributi la necessità, per gli esperti come per i comuni lettori, di procedere oggi ad una lettura sinottica dei tre volumi dell’Histoire de la sexualité e dei corsi tenuti al Collège de France negli anni ottanta. Da questo punto di vista, è comune ai vari saggi, da una parte, il rammarico per la mancata pubblicazione de Les aveux de la chair, il progettato quarto volume dell’Histoire de la sexualité, e, dall’altra, la consapevolezza che d’ora in poi non sarà più ammissibile una lettura dell’approccio foucaultiano alla “pre-sessualità” del mondo antico che comporti la colpevole esclusione del primo folgorante volume, ovvero La volonté de savoir, essenziale per comprendere la storicizzazione della sessualità condotta nei volumi successivi. E se le nuove prospettive offerte dallo studio del materiale ora a disposizione degli studiosi presso la Bibliothèque nationale de France a Parigi probabilmente arricchiranno le riflessioni sull’archivio del Foucault “antichista”, allo stesso tempo è proprio la consapevolezza della inseparabilità dell’insieme costituito dai tre volumi dell’Histoire de la sexualité e dei corsi tenuti al Collège de France che consente agli autori di questo libro di leggere il cantiere foucaultiano sulla “sessualità” come un’ontologia del presente, come un cantiere di rottura, che ancora oggi mantiene inalterata la sua attualità.

Nel saggio che apre il lavoro, Frédéric Gros, esperto studioso degli archivi foucaultiani, ricostruisce brevemente le tappe che hanno condotto Foucault ad interessarsi al mondo antico. Utilizzando il materiale d’archivio depositato presso la BnF, Gros individua un passaggio intermedio fra l’originale progetto di una Histoire de la sexualité centrata sulla sessualità moderna (p. 20), quale emerge già chiaramente ne La volonté de savoir, e il famoso “bouleversement” verso il mondo antico. Questo passaggio prevedeva inizialmente due testi differenti, uno centrato sull’emergere del soggetto di desiderio nell’alto impero romano (I-II sec. d.C.) e uno sulla tarda Antichità. Si delinea allora il quadro di un complesso intreccio di progetti e cantieri, orbitanti attorno all’Antichità greco-romana, che hanno trovato precaria e instabile sedimentazione ne L’usage des plaisirs e ne Le soici de soi. Vari i tratti di questa sedimentazione: centralità degli Oneirokritika di Artemidoro di Efeso nel progetto originario e in quello effettivamente portato a termine, a testimonianza del fascino che questa opera semi-sconosciuta aveva esercitato su Foucault; il complesso lavoro di revisione e correzione dell’Introduzione a L’usage des plaisirs, che doveva dar conto di un totale rovesciamento dell’originario progetto di una storia della sessualità; l’estrema densità e sintesi analitica de Le souci de soi, testo condizionato dall’esigenza di unire in un unico volume le analisi sull’emergenza del soggetto di desiderio e quelle destinate a comparire in un volume distinto, centrato sulla nozione di cura di sé e progettato per Seuil con il titolo Le gouvernement de soi et des autres. Gros, attraverso uno scrupoloso lavoro d’archivio, mette a nudo il travaglio redazionale che ha accompagnato i due ultimi volumi dell’Histoire de la sexualité, un travaglio che ancora oggi è possibile leggere nello stile composto e quasi distaccato che li caratterizza. E se questo atteggiamento misurato, che a volte può confinare con una compunta pedanteria, ha costituito la cifra di un rovesciamento, di una differenzialità rispetto al Foucault degli anni settanta, Gros avverte il lettore di non farsi ingannare: i due ultimi volumi dell’Histoire de la sexualité sono innervati da un’acutezza di sguardo e da un’originalità di lettura che solo la mancata pubblicazione de Les aveux de la chair e del progettato Le gouvernement de soi e des autres rendono meno percepibili[3].

Il contesto culturale, sociale e disciplinare nel quale venivano ad inserirsi gli ultimi due volumi dell’Histoire de la sexualité è l’oggetto di studio del contributo a firma di Sandra Boehringer. Un ambiente, giova qui ricordarlo, quello dell’antichistica, caratterizzato ancora negli anni ottanta da un rigido conservatorismo disciplinare, nel quale il cosiddetto “amore greco” costituiva un mistero quanto per i bizantinisti poteva esserlo il “fuoco greco”, una misteriosa increspatura di quella levigata figura statuaria creata attorno all’immagine dell’uomo greco che, almeno a partire da Winkelmann e dalla nascita di una Altertumswissenshaft, costituiva il prototipo della civiltà occidentale moderna. Un mondo che, come ricorda con ironia Peter Brown, costringeva gli studiosi e i ricercatori più brillanti a leggere i testi di antropologia nella discreta penombra di un bagno universitario[4].

È interessante osservare, proprio attraverso il contributo di Boehringer, come Foucault giunga a dirottare la propria ricerca genealogica sul mondo greco-romano attraverso l’uso di diversi campi disciplinari, come la sociologia costruzionista (Mary McIntosh e Gayle Rubin), la storia della filosofia antica (Pierre Hadot), il coevo fermento dei movimenti gay, piuttosto che attraverso il lavoro degli antichisti, che pur negli anni settanta avevano iniziato ad interessarsi sporadicamente ai costumi sessuali degli antichi. Tra questi, i lavori pionieristici ed eterodossi di Félix Buffière, di John Boswell, di Paul Veyne e di Kenneth Dover influenzano fortemente il Foucault alle prese con il mondo greco-romano. L’autrice rileva, tuttavia, come l’atteggiamento epistemologico del filosofo francese lo conduca inevitabilmente ad allontanarsi da questa bibliografia secondaria. In primo luogo, dal suo amico Veyne[5], concentrato sulla falsa cesura fra morale sessuale pagana e cristiana, e secondariamente da Dover[6], impegnato a rintracciare nella grecità classica, attraverso l’originale confronto fra fonti letterarie e ceramografiche, le tracce di un comportamento omosessuale. Per Foucault, al contrario, il focus dell’analisi è la genealogia del soggetto di desiderio, una problematizzazione tutta genealogica delle pratiche e delle soggettivazioni. L’originalità di Foucault rispetto a questi lavori pionieristici – per l’autrice, il lavoro di Dover costituisce «una tappa implicita» (p. 44) del progetto foucaultiano – risiede nell’aver individuato nel mondo antico un’epoca “pre-sessuale”, un tratto euristico dirimente, attraverso il quale oggi gli antichisti sono chiamati ad interrogarsi sul soggetto antico storicizzandolo, ovvero evitando ogni ricaduta nelle multiformi varianze dell’anacronismo storico.

La fredda accoglienza tributata ai due ultimi volumi dell’Histoire de la sexualité e il trentennio di aspre polemiche nate proprio a partire dalla loro pubblicazione, periodo noto ai classicisti con il termine di “sexuality wars[7], è l’argomento centrale del brillante contributo di Kirk Ormand. Giustamente, Ormand osserva come le critiche formulate dagli antichisti nordamericani all’approccio genealogico foucaultiano siano attribuibili ad una colpevole assenza e ad un equivoco di fondo: da una parte, la triste abitudine degli antichisti di ignorare La volonté de savoir quale primo fondamentale capitolo dell’Histoire de la sexualité e, dall’altra, la riduzione dell’analisi foucaultiana ad una noiosa ricerca sull’omosessualità nel mondo antico. A dimostrazione della vocazione multi e interdisciplinare del volume, l’autore collega un’interessante analisi dell’emergenza della nozione di sessualità nel discorso psicanalitico di Freud e Breuer all’esame della testimonianza di Seneca su Hostius Quadra[8]. Personaggio di epoca neroniana, Hostius Quadra, secondo il vivido ritratto tramandatoci da Seneca, aveva l’abitudine di collocare nella sua camera da letto (cubicula) una serie di specchi così da avere continuamente a disposizione la visione del suo corpo nell’atto sessuale. Ora, come nota Ormand, se noi ascrivessimo questo comportamento ad un gusto scopofiliaco, dovremmo ammettere che Seneca attribuiva ad Hostius Quadra una precisa devianza sessuale. Al contrario, Seneca, privo della categoria di “sessualità”, non può giudicare quel comportamento che come afferente alla categoria del “contro natura”, ovvero come un atteggiamento sconveniente rispetto all’imperativo stoico di una continenza e padronanza di sé, anche e soprattutto attraverso i piaceri[9].

Foucault è “messo alla prova” anche nel contributo di Claude Calame. L’eminente grecista ha qui modo di reiterare le osservazioni critiche già espresse in passato sulla nozione foucaultiana di un mondo antico “pre-sessuale”[10]. Osservazioni che si concentrano sui seguenti punti: la dismissione, per la ricerca genealogica sulla sessualità, di quella dimensione enunciativa che aveva consentito al Foucault degli anni sessanta e settanta di trasformare i documenti in monumenti; il paradosso di una storicizzazione della sessualità che deve però servirsi di una esperienza della sessualità come dato trans-storico; l’attenzione esclusiva per i testi prescrittivi, che conducono alla costituzione di un soggetto filosofico creato da filosofi; infine, l’assenza di un’analisi sulle rispettive rappresentazioni dei due sessi nel contesto sociale del mondo antico, analisi possibile solo a partire da un approccio che distingua l’etico dall’emico[11]. Calame fa ricorso allora ad una griglia «ethnopoétique» (p. 106), strumento collaudato in molti suoi lavori, ovvero all’uso della melica arcaica (Saffo, ma anche Alcmane e Anacreonte) per individuare nella figura mitica di Eros la matrice di una declinazione plurale, etnica, del desiderio stesso, che fa a meno delle polarità proprie della nostra sessualità (attivo/passivo, omosessualità/eterosessualità). Da questo punto di vista, il soggetto foucaultiano costituito dalle pratiche di sé non è più un soggetto prodotto da un’opposizione (alla passività) o da un’ermeneutica del sé (il soggetto di desiderio), ma un soggetto “antropopoetico” prodotto da una ritualità collettiva, un risultato dinamico e di relazione.

I contributi di Olivier Renaut e di Daniele Lorenzini permettono di osservare come il Corso tenuto da Foucault al Collège de France nel 1981, Subjectivité et vérité, costituisca un documento fondamentale per ampliare e problematizzare le posizioni assunte dallo stesso Foucault nei due ultimi volumi dell’Histoire de la sexualité. Renaut approfondisce ciò che nel Corso del 1981 viene definito il «principio di attività» (p. 122), mettendo in rilievo come quel diagramma – che molti antichisti hanno tacciato di riduzionismo – di attività/passività quale misura fondamentale del modello isomorfico (è il sociale che precede il sessuale nel mondo antico) venisse inserito da Foucault in un’analisi degli atti sessuali molto più accurata e articolata di quanto sarebbe poi avvenuto nei volumi pubblicati nel 1984. Lorenzini riflette invece su ciò che maggiormente distanzia il Corso del 1981 da Le souci de soi, ovvero l’individuazione dell’emergenza del soggetto di desiderio: se nel terzo volume dell’Histoire de la sexualité è questo soggetto a separare il sistema degli aphrodisia da quello dell’ermeneutica del sé, collocandosi quindi nella frattura fra Antichità greco-romana e cristianesimo, nel Corso del 1981 è all’interno della società pagana, è nel pieno dell’alto impero romano, che viene ad emergere un soggetto costretto a separare da sé un desiderio che ne produrrà la soggettivazione.

La riflessione di Arianna Sforzini si concentra invece sulla figura di Agostino e sulla sua centralità nella ridefinizione foucaultiana delle continuità e discontinuità storiche. Analizzando alcuni testi del vescovo di Ippona, l’autrice rintraccia i motivi di interesse che hanno condotto Foucault ad individuare in Agostino il vero inventore della libidinizzazione del sesso. È con Agostino che emerge una ermeneutica del sé contrapposta ad un’ars erotica (il sistema degli aphrodisia), emergenza da cui deriveranno il dispositivo di sessualità (il sistema della scientia sexualis) e un nuovo sistema di potere, dalle enormi capacità di individualizzazione, che Foucault ha definito “potere pastorale”.

Gli interventi di Jean Allouch e di Thamy Ayouch si incaricano di fare il punto della situazione per quanto riguarda le implicazioni che la definizione di una società “pre-sessuale”, quella greco-romana, ha per la psicanalisi. Allouch definisce la lettura foucaultiana del mondo antico come un intervento sul presente. Mostrando l’inesistenza, nell’Antichità, del soggetto quale noi oggi siamo abituati a concepirlo, ovvero il soggetto psicologico, Foucault ha condotto una decostruzione del soggetto di desiderio, dimostrando come il bios greco costituisse in sé una soggettività non psicologica incapace di una introflessione ermeneutica. Ayouch tenta invece di definire percorsi e progetti per ripensare la psicoanalisi proprio a partire dai volumi II e III dell’Histoire de la sexualité. Osservando come al centro di questi due testi, in perfetta continuità con La volonté de savoir, vi sia la grande sfida foucaultiana di una degiuridificazione del soggetto, l’autore propone una analoga degiuridificazione della psicanalisi e degli psicanalisti. Facendo tesoro di due nozioni centrali del Foucault degli anni ottanta, ovvero la cura di sé e la parrhesia, la degiuridificazione della psicanalisi deve partire, secondo l’autore, dalla negazione di un essenzialismo che attribuisce a figure come la donna, l’uomo, il maschile, il femminile, ecc., una categorialità psichica immutabile. Degiuridificare la psicanalisi significa uscire da quel dispositivo che ancora oggi attribuisce agli psicologi, lacaniani o freudiani, il potere di concedere l’assenso ai transessuali per una riassegnazione chirurgica del sesso in base ad una categorizzazione normativa di genere e sesso. La sessualità, secondo Ayouch, deve diventare al contrario un evento, in senso foucaultiano, un’occasione per creare una nuova tecnica di sé.

La pluralità degli approcci e delle letture che questo volume offre evidenziano, ancora una volta, la produttività euristica della nozione foucaultiana di un mondo antico “pre-sessuale” e ne dichiarano l’ineludibilità quale ontologia del presente. E se è con rammarico che, in sede di conclusioni, si deve rilevare come in un volume programmaticamente multidisciplinare come questo sia percepibile l’assenza sia di un contributo che metta a fuoco i pur importanti risultati che l’archeologia[12] ha conseguito utilizzando gli approcci ermeneutici foucaultiani dell’Histoire de la sexualité, sia di un saggio che confronti i diversi e tuttavia affini approcci al mondo antico messi in campo da Foucault, rispettivamente nel Corso del 1970-1971 (Leçons sur la volonté de savoir)[13] e nel cantiere sulla “pre-sessualità” greco-romana degli anni ottanta, è evidente tuttavia come l’insieme dei contributi che animano questo volume miscellaneo costituisca una sorta di monito per gli antichisti, ma anche per gli psicologici, i filosofi, ecc., tutti invitati a riflettere sulle proprie categorie epistemologiche e, di conseguenza, a pensare il mondo antico per interrogare politicamente il presente, nella consapevolezza che una ricerca rigorosa sul passato non può più permettersi falsanti anacronismi. Ancora una volta, per le scienze dell’Antichità come per gli altri campi disciplinari, esiste un «prima e un dopo Foucault» (p. 49).



[1] Gregorio di Nazianzo, Contro le donne che si truccano, in Id., Poesie, trad. it. a cura di C. Moreschini, I. Costa, C. Crimi e G. Laudizi, Città Nuova Edizioni, Roma 1994, vol. I, pp. 226-240.

[2] Per l’antidisciplinarietà di Foucault, cfr. A. Megill, The Reception of Foucault by Historians, in «Journal of the History of Ideas», n. 48 (1987), pp. 117-141.

[3] Da notare tuttavia che lo stesso Gros (Situation du cours, in M. Foucault, Subjectivité et vérité. Cours au Collège de France. 1980-1981, Seuil/Gallimard, Paris 2013, pp. 305-321) ha avuto modo di rilevare una differenzialità, per quanto riguarda l’uso delle fonti primar’e, tra i due ultimi volumi dell’Histoire de la sexualité e il Corso del 1981, più deferenziale nel primo caso e più coraggioso nel secondo.

[4] Cfr. P. Brown, A Life of Learning. Homer Haskins Lecture for 2003, in «American Council of Learned Societies», Occasional Paper, n. 35 (2003).

[5] Cfr. P. Veyne, La famille et l’amour sous le Haut-Empire romain, in «Annales ESC», n. 33 (1978), pp. 35-36.

[6] Cfr. K. Dover, Greek Homosexuality, Duckworth, London 1978.

[7] Cfr. M. Skinner, Zeus and Leda. The Sexuality Wars in Contemporary Classical Scholarship, in «Thamyris», n. 3 (1996), pp. 103-123.

[8] Seneca, Quaestiones Naturalis, I,16,2; I,16,5; I,16,7.

[9] La testimonianza senecana trova riscontro in alcuni interessanti dati archeologici, come nel caso del cubicolo doppio angolare della Casa del Centenario (IX,8,6) a Pompei, dove una strana finestrella permette una visione “nascosta” della camera da letto da un piccolo ripostiglio (cfr. J. Clarke, Looking and Lovemaking. Construction of Sexuality in Roman Art, 100 b.C.-a.D. 250, University of California Press, Berkeley 1998), o come nel caso della Warren Cup, coppa d’argento di epoca augustea che ritrae una inedita scena di penetrazione a tergo fra due individui maschi “osservati” di nascosto da un giovane schiavo (cfr. J. Clarke, The Warren Cup and the Contexts for Representations of Male-to-Male Lovemaking in Augustan and Early Julio-Claudian Art, in «The Art Bulletin», n. 72 (1993), pp. 275-294 e J. Pollini, The Warren Cup. Homoerotic Love and Symposial Rhetoric in Silver, in «The Art Bulletin», n. 81 (1999), pp. 21-52). In tutti questi casi, solo un atteggiamento anacronistico permetterebbe di catalogare sotto la categoria di scopofilia i comportamenti che quegli oggetti e quegli spazi permettevano.

[10] Cfr. C. Calame, L’Eros dans la Grèce ancienne, Belin, Paris 1996. Medesime osservazioni critiche in G. Sissa, Eros tiranno. Sessualità e sensualità nel mondo antico, Laterza, Roma-Bari 2003.

[11] All’approccio emico ai dati culturali, inaugurato dal linguista Kenneth Pike negli anni cinquanta, Calame ha dedicato importanti lavori (cfr. Id., Interprétation et traduction des cultures. Les catégories de la pensée et du discours anthropologiques, in «L’homme», n. 163 (2002), pp. 51-78). Per un confronto conciliativo fra l’approccio genealogico foucaultiano e quello emico, cfr. H. Parker, The Teratogenic Grid, in J. Hallett e M. Skinner (a cura di), Roman Sexualities, Princeton University Press, Princeton 1997, pp. 47-65 e Id., The Myth of Heterosexual Anthropology and Sexuality for Classicists, in «Arethusa», n. 35 (2001), pp. 313-362.

[12] Nella vasta bibliografia a questo riguardo si segnala la pregevole lettura in senso foucaultiano delle pitture erotiche delle Terme Suburbane a Pompei portata a termine da Luciana Jacobelli (Le pitture erotiche delle Terme Suburbane di Pompei, L’Erma di Bretshneider, Roma 1995) e quella altrettanto efficace dei graffiti pompeiani tentata da Lourdes Conde Feitosa (The Archaeology of Gender, Love, and Sexuality in Pompei, Archeopress, London 2013).

[13] Si consideri ad esempio l’uso massiccio delle analisi antropologiche di Louis Gernet e della sua scuola nel Corso del 1970-1971 e il loro ruolo minore nei lavori degli anni ottanta.

 

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