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Laura De Grazia

Gli esercizi spirituali di Primo Levi


Compte-rendu de Arnold I. Davidson (dir.), La vacanza morale del fascismo. Intorno a Primo Levi, Edizioni ETS, Pisa 2009 (56 p.)


La pratica degli esercizi spirituali descritta da Pierre Hadot ne La filosofia come modo di vivere porta in luce un aspetto dell'attività filosofica oramai occultato, dimenticato, assimilato da una filosofia intesa come teoria, che tende sempre più a distanziarsi dalla vita quotidiana degli uomini, come se l'attività pratica fosse semplicemente uno sviluppo secondario e successivo della speculazione filosofica.

Fra teoria e pratica è, però, possibile individuare un legame sia politico che etico. Ed è cercando di evidenziare il nodo politico che lega teoria e pratica che Michel Foucault, ne Gli intellettuali e il potere, descrive la teoria non come l'espressione o la traduzione della pratica, ma piuttosto come il sistema locale e regionale di un insieme di pratiche. La teoria non è, dunque, un tipo di discorso che dovrebbe svelare una verità celata a tutti, ma è una pratica essa stessa.

Tutta la filosofia, intesa come diagnosi critica del nostro presente, dovrebbe essere un'attività al contempo teorica e pratica, volta ad illuminare, attraverso analisi parziali e locali, i sistemi o le teorie che appaiono come necessari e universali, per dimostrarne la contingenza storica e per svelare come le nostre forme di razionalità dipendano, in realtà, da pratiche umane. La filosofia è un'attività «en même temps pratique et théorique qui doit être accomplie à travers des livres, des discours et des discussions comme celle-ci, à travers des actions politiques, la peinture, la musique...»[1].

Nell'introduzione a L'uso dei piaceri, Foucault si sofferma sulla descrizione di un tipo di discorso, filosofico e non, che pretende di dettar legge dall'esterno, di dire dov'è la verità e dove trovarla, ignorando che l'attività filosofica può e deve essere mutata dall'esercizio di un sapere che le è estraneo: «Ma che cosa è dunque la filosofia, oggi […] se non consiste, invece di legittimare ciò che già si sa, nel cominciare a sapere come e fino a qual punto sarebbe possibile pensare in modo diverso?»[2].

Se intendiamo la teoria o il discorso filosofico come pratica attraverso la quale modificare se stessi, si può forse cogliere una dimensione dimenticata dell'attività filosofica: la dimensione dell'askesis, dell'ascesi intesa come «un esercizio di sé, nel pensiero»[3], come esercizio su se stessi per accedere ad un nuovo modo di essere.

Gli esercizi spirituali delineano un campo in cui la teoria e la pratica sono indissolubilmente connesse: tutta la filosofia dovrebbe essere un esercizio. Gli esercizi non sono «qualcosa che si aggiunge alla teoria filosofica, al discorso filosofico, una sorta di pratica che semplicemente completerebbe la teoria e il discorso astratto»[4]. Sono “esercizi” perché sono un'attività volontaria che il soggetto decide di praticare, e sono “spirituali” in quanto pratica di auto-formazione del soggetto, destinati ad operare una trasformazione nel rapporto con se stessi e con gli altri. Comportano un distacco da se stessi per innalzarsi ad un punto di vista sovra-personale, ma solo a prezzo di uno sforzo, di un costante lavoro su se stessi e sui propri limiti.



[1] M. Foucault, La vérité et les formes juridiques, in Dits et écrits I, Gallimard, Paris 1994, p. 1456.

[2] M. Foucault, L'usage des plaisirs, Gallimard, Paris 1984 (trad. it. di L Guarino, L'uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 2008, p. 14).

[3] Ibidem.

[4] P. Hadot, La philosophie comme manière de vivre, Albin Michel, Paris 2001 (trad. it. di A. Peduzzi e L. Cremonesi, La filosofia come modo di vivere, Einaudi, Torino 2008, p. 120).

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